Oltre i programmi Cosa conta davvero (non solo a Salò)

Lettere al direttore
Lettere al direttore
AA
Tenuto conto dei tanti saltafossi e voltagabbana che accampano accuse false: è pur vero che mancano oltre due mesi alle elezioni comunali, ma non si sono ancora visti pubblicati, non tanto i candidati, quanto i programmi. I programmi non possono essere pubblicati e pubblicizzati solo pochi giorni prima del voto, poiché alcuni cittadini di Salò vorrebbero o potrebbero richiedere che alcune idee, fattibili, possano essere inserite tre quelle di questa o quella lista, magari dopo aver chiesto o visto (de facto) spiegazioni sui bilanci di settore o generali. Quante saranno le liste a Salò, cinque, sei o più, per le prossime Amministrative, per gestire il dopo Cipani? Continuità o rottura con il passato? Perché oltre i nomi ed i programmi noti di chi fu all’opposizione, non vorrei che il vecchio e sarcastico detto divenga ancora valido: «Due francesi, una donna; due tedeschi, una guerra; due italiani, tre partiti». Senza contare i molti pronti a saltare sul carro che loro pensano sia il vincitore assoluto.
Gianluigi Pezzali
Salò

C

aro Gianlugi,

innanzi tutto grazie perché - come i nostri lettori più attenti sanno - lei non manca mai di scriverci, così come noi di leggerla. In pagina poi è più raro che le sue missive finiscano (la fecondità, per trovare equilibrio, ha spesso bisogno di argini), mentre oggi la proponiamo volentieri, occupandosi di una questione che va ben oltre un territorio specifico.

Il tema delle elezioni comunali, infatti, in queste settimane tiene banco in provincia, con oltre centoquaranta consigli municipali che si rinnoveranno.

In particolare, lei scrive che importanti sono i programmi. Io replico che il rimandare al «programma» è una litania che imploriamo per abitudine, un retaggio di un tempo in cui la politica esigeva (e gradiva) comizi di minimo tre ore e schieramenti ideologici forti.

Ora invece? A parte un paio di questioni che in questo o quel centro possono risultare davvero dirimenti, i «programmi» non sono un corposo elenco di desideri, una lunga lista di pie intenzioni, stilata perché nulla sia escluso?

Di più. Ha ancora senso, in un’epoca in cui rispetto al passato i cambiamenti sono assai più rapidi, presentare programmi che rischiano di essere smentiti o superati nel volgere di qualche mese?

Non sarebbe forse il caso di definire tre o quattro punti distintivi e soffermarsi di più sulle questioni di metodo, sulle modalità in cui ci si impegna a prendere decisioni?

Lo scriviamo senza verità in tasca, bensì come un’opportunità di aprirci a un pensiero diverso e pure di cambiare parere. Noi per primi.

Pensarci, riflettere, non dare nulla per scontato ci pare un buon inizio

. (g.bar.)

P.S. Sul detto sarcastico non aggiungiamo verbo, però che ogni due italiani spuntino tre partiti è vero.

Unirsi, trovare punti comuni, fare coalizioni è assai più arduo infatti che eccepire, spaccare il capello in quattro, alzare steccati. Del resto che «siamo da secoli / Calpesti, derisi / Perché non siam popolo / Perché siam divisi» lo abbiamo scritto nero su bianco anche nell’inno.

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