Nostalgia e felicità per i miei 40 anni di insegnamento

AA

Scrivo questa lettera, con nostalgia, ma con tanta felicità per quello che penso di aver dato alle migliaia di alunni incontrati nei miei quarant’anni di insegnamento. Quali valori ho trasmesso ai miei ragazzi? E cito dapprima i valori, fondamentali per la crescita della persona, parallelamente alle competenze logico-scientifiche. Negli ultimi anni la scuola è cambiata; finalmente ci si è accorti che i ragazzi non sono solo contenitori di nozioni da riempire, ma esprimono un profondo bisogno di essere ascoltati, ma non giudicati! L’empatia, le abilità sociali, la resilienza/resistenza a gestire i conflitti, insomma quelle che chiamiamo «abilità di vita», rappresentano, oggi più che mai l’humus sul quale innestare l’istruzione-educazione di tutte le discipline. L’emozione ma anche la fatica nell’affrontare la quotidianità della scuola, nel saper affrontare qualunque situazione imprevista nella classe, non solo tra i ragazzi, ma anche tra i genitori sempre più agguerriti nel contestare il docente, nonostante negli anni abbia incontrato genitori che hanno espresso la loro stima nei miei confronti. La leggerezza, l’impegno, la professionalità, la formazione continua, gli ottimi rapporti coltivati nel tempo tra tanti colleghi che ho conosciuto, hanno reso l’ambiente scuola con tutte le sue sfaccettature positive/negative, un terreno sul quale è cresciuta e maturata la mia persona nel duplice ruolo di docente e genitore. Ciò che però mi dà un’immensa gioia è vedere, il frutto del mio lavoro, anche a distanza di anni, incontrare i miei alunni, ora genitori, che mi riconoscono e mi salutano sempre volentieri, preoccupati nell’affrontare l’educazione delle nuove generazioni, dei millenial! Li rassicuro nei limiti del possibile, do qualche consiglio, di guardare negli occhi i loro figli, di avere sempre con loro uno sguardo di ottimismo, di fiducia, ma, al tempo stesso, di determinazione nel rispettare le regole, nel sapere dire «no», senza paura, nel dedicare tempo all’ascolto, al confronto dei diversi punti di vista, nell’avere pazienza, nell’utilizzare nel dialogo un linguaggio adeguato, nel «saper aspettare», nell’«essere amorevolmente autorevoli». Ho assistito poi negli ultimi anni, ma soprattutto negli ultimi due, ad una rivoluzione copernicana, attraverso il processo di digitalizzazione della scuola, sia nell’apprendimento disciplinare, che nella prassi burocratica dei documenti da redigere e conservare. Certamente ho dovuto mettermi in gioco, adattare il mio stile del processo cognitivo, alle nuove tecnologie, aggiornandomi continuamente, per condividere con gli alunni materiali, testi, spiegazioni da remoto. Ho sempre però avuto presente, il fine che la scuola deve perseguire quale «comunità educante», pur con i mezzi in continua evoluzione, sforzandomi di mantenere un atteggiamento di resistenza/resilienza, di fronte alle continue sfide che la scuola ancora riserverà. Le relazioni sociali, fatte di sguardi, gesti, tono di voce, e non solo, che la scuola può garantire principalmente in presenza, rappresentano più che mai il «focus», che non potrà mai essere completamente sostituito dai device e dalla moderna tecnologia. Pensando poi alla recente innovazione tecnologica della scuola, l’utilizzo della lim, piattaforme, ritengo che tutti questi strumenti siano stati utilizzati da tutti noi docenti con creatività ed impegno, ma non sono questi strumenti (lo sappiamo bene!) che creano cultura, quanto il dialogo umile e paziente dell’esperienza umana; non bastano le lim o un app a garantire una lezione di qualità, ma indispensabili sono capacità e profondità di visione, erudizione, studio, attenzione, dedizione. Spesso a noi docenti viene contestata la «lezione frontale», come fosse un delitto, ma davanti ai miei alunni come posso aspettarmi che comprendano da sé, se non affidarmi anche a dei momenti in cui «devo spiegare» qualcosa che ben conosco, «io» devo trovare il linguaggio e le modalità per farlo apprezzare, «io» devo rendere vivo e assimilabile qualcosa che è di altro tempo e di un altro luogo! Vorrei ora ricordare, prendendo spunto da una carissima collega e mamma, Giacomo Leopardi, maestro di vita, che anche nel lavoro di insegnante mi ha guidato nell’immaginazione, nella passione, ma soprattutto nel «metterci il cuore», mezzi con i quali ho sempre svolto onestamente e «senza maschera» la mia professione. Concludo infine con alcune riflessioni del prof. Paolo Crepet sulla parola «coraggio» e sulla sua valenza, oggi più che mai attuale dopo il periodo pandemico. «Il coraggio che i giovani devono riscoprire per non ritrovarsi tristi e rassegnati a non credere più nei loro sogni. Ricordiamo loro che il coraggio e il cuore rappresentano la magica opportunità che permette di capire il presente e di costruire il futuro!» (dall’ultimo suo libro pubblicato «Lezioni di sogni»). Grazie a tutti!

// Emma Gentile insegnante, è comprensibile il duplice sentimento provato all’atto del congedo: l’inquietudine alimentata dalla nostalgia dopo 40 anni di impegno quotidiano con i ragazzi, e la serenità derivante dalla consapevolezza che si è fatto fino in fondo del proprio meglio per e con loro. Testimonianze come questa, che trovano di frequente il modo di approdare su questa pagina, sono un importante contributo per capire (o ricordare) quanto la scuola non possa né debba esser ridotta a un groviglio di problemi burocratici. E al proposito sono convinto che il coraggio e il cuore dovrebbero essere invocati più spesso non soltanto per i ragazzi nel post pandemia, ma anche per tutti gli adulti che accompagnano e hanno la responsabilità - in modi e a livelli diversi - della loro formazione e istruzione (g.c.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Condividi l'articolo

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato