Normalità e follia un confine sottile indagato dall’arte
È già sera quando usciamo dalla mostra dedicata al tema della follia alMusa di Salò. Un’aria fredda di novembre ci accoglie, accomunandoci in una sensazione di libertà e di sollievo. Poi, sulla via del ritorno, lo sciogliersi del silenzio lascia spazio ai ricordi d’infanzia, legati ad alcune esperienze formative difficilmente dimenticabili. Per Patrizia, collega e amica, il volontariato a 15 anni nel manicomio di Gemona, il suo paese natio. Per me, di 11 anni appena, la scoperta di pazienti ammalate di mente viste attraverso una porta vetrata di un reparto proibito dell’Ospedale di Sondrio. Rivedo ancora una donna giovane spettinata che culla una bambola di pezza, un’altra più vecchia e sdentata che ride e piange contemporaneamente, poi un’altra ancora, insistente, che mi fa segno di seguirla mentre io scappo via turbata da quella visione da incubo. Tutte hanno lo sguardo perso, il viso segnato da smorfie continue e un aspetto trascurato. Quell’incontro pauroso, avvenuto per caso, mi lasciò per sempre la convinzione che, dietro a quel vetro trasparente e simbolico, vi fosse un mondo parallelo al nostro, simile ma diverso, dal confine pericolosamente labile. Il percorso proposto da Vittorio Sgarbi lascia un segno efficace che porta con sé riflessioni filosofiche e letterarie scosse tuttavia da un senso di vuoto, d’impotenza e di «smarrimento». Goya, Lega, Signorini, Ligabue, Bacon e molti altri, con le loro vite tormentate, hanno saputo esprimere i turbamenti nascosti e vietati della psiche umana. La follia attraverso i loro quadri diventa esaltazione, visione o verità oscura, oscena e inaccessibile. Dall’«Elogio della Follia» di Erasmo da Rotterdam agli scritti di Michel Foucault, dalle allucinazioni di un «Don Chisciotte» all’interpretazione cinematografica di «Qualcuno volò sul nido del cuculo», fino a quel pizzico di follia necessaria per non arrendersi alle costrizioni di un gretto quotidiano, genio e follia vengono così associati a dimostrare semplicemente le «grandeurs et misères» del genere umano. Per lo psicologo e neurologo Franco Basaglia, promotore della chiusura dei manicomi con la legge 180/1978, la follia è «una condizione umana... che esiste ed è presente come lo è la ragione». La demenza, isolata fisicamente sulla «barca dei folli» durante il Medioevo, ritorna fra noi riproposta nelle istituzioni legalizzate quali gli O.P.G. (Ospedali Psichiatrici Giudiziari). Lì, dai documentari proposti nel corso della mostra, la realtà sfiora la più tetra e assurda fantasia e l’imprigionamento appare una doppia trappola, senza via di uscita. Grazie all’arte, che affronta il tabù della pazzia con sensibilità e rispetto, anche la follia ha il suo ruolo e «anch’essa merita i suoi applausi». Viene incoronata sul palcoscenico del Musa «la folle du logis», quell’immaginazione straripante e ingannevole che Blaise Pascal definiva una seconda natura nell’uomo che lo rende vittima o carnefice, non immune di incontrarla prima o poi nella vita, perché il binomio normalità e anormalità conosce un confine sottile che non ha certezze.
// Giulia DeonLonato del Garda
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato