Non mi vergogno se mi commuovo ad ogni maratona
Si può piangere per una maratona? Se mia moglie ascoltasse la risposta, anzi, se solo le giungesse all'orecchio una simile domanda, ribadirebbe per l'ennesima volta di aver sposato un... asinello, giusto per usare un garbato eufemismo.
Comunque, risposta scontata, io ho pianto in tutte le maratone che ho corso, seppure con tempi quasi doppi rispetto ai primi arrivati, significa che arrivo al traguardo con quasi due ore di distacco. Ma superare la linea dell'arrivo, dopo quei 42,195 km dà una emozione e una gioia così grande che non solo piango all'arrivo, ma anche quando riguardo le immagini dell'impresa.
Ma si può piangere per una maratona alla quale non si partecipa? Beh, a me è capitato anche questo. Dopo essermi allenato per mesi con temperature rigide, con la pioggia, con la neve, con levatacce inenarrabili, un infortunio mi ha impedito di partecipare alla maratona di Brescia di domenica scorsa. Poco male, mi dico, qualche mese di stop e poi mi rifarò in novembre a Venezia. E così, con la bicicletta, ho seguito sul percorso e al traguardo gli amici con i quali mi sono allenato ed ho gioito con loro e per loro. Ed ho pianto. Non ditelo a mia moglie. Ma, poiché non sono un bambino, cerco di dare una spiegazione razionale a questo fatto apparentemente irrazionale, e così rispolvero uno dei miei cavalli di battaglia preferiti, che vede la corsa come paradigma della vita. E siccome quando cerco di spiegarlo ai miei figli, questi, a metà della esposizione, iniziano a dare occhiate fugaci al cellulare per vedere l'ultima notifica di whatsapp - perlomeno suppongo che si scriva così - ecco che affido alla penna, anzi alla tastiera, questa riflessione, sottolineando che una sostanziale differenza tra il pellegrinaggio su questa terra ed una maratona, consiste nel fatto che dell'una si conosce la posizione della linea dell'arrivo, mentre per l'altra possiamo soltanto sperare che sia il più lontano possibile.
Per il resto ogni anno è come un chilometro.
Non è mia intenzione dilungarmi, genericamente si può dire che la prima parte del percorso la corri più agevolmente, l'ultima con maggiore fatica, ma non è assolutamente una regola che ha una valenza generale, perché al suo interno ogni chilometro ha le sue specificità.
Ci sono le salite, le discese, i tratti che corri da solo, quelli che corri in gruppo, tratti in cui ti senti un leone e distanze nelle quali ti senti uno straccio, quelle appunto in cui ti vorresti ritirare e quelle che vorresti non finissero mai, distanze in cui la gente applaude e i bambini ti battono il cinque ed altre nelle quali nessuno ti degna di uno sguardo, in quanto ci sono ben altri atleti meritevoli di attenzione.
Potrei continuare all'infinito con questo elenco, ma penso che ognuno, in base alle proprie esperienze personali, possa aggiungere ciò che manca. Quindi che dire, potrei concludere affermando con certezza che questa gara bisogna correrla, perché, al di là di quelle che sono, o che possono apparire, grandi difficoltà, è una gara entusiasmante e bellissima e che al traguardo ci attende una ricompensa meravigliosa. Ma questo, visto le premesse, sarebbe un finale troppo scontato.
No, vorrei concludere, giusto per non essere frainteso, rivolto alla mia numerosa prole, ma anche a tutti i giovani che hanno avuto la pazienza di leggere fino a questo punto, che non sto invitandoli al massimo impegno per chiudere la maratona in un ottimo tempo, ma vorrei far loro capire che la vita è meravigliosa, che vale la pena di essere vissuta sempre, in ogni momento ed in ogni occasione, e che bisogna metterci il massimo impegno affinchè possiate essere felici voi e coloro che vi stanno vicino. Vero Gloria, Marcello, Maddalena, Benedetta, Maria Grazia, Giulia e Chiara? E comunque, giovani, correte, che nella corsa, così come nella vita, non si resta mai in panchina!
Pierluigi Fappani
Rezzato
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