«Non affittiamo agli stranieri». È una vergogna

Le scrivo con un nodo alla gola e un senso profondo di indignazione che fatico a contenere. In queste settimane sto cercando di aiutare due giovani ragazzi, rifugiati, a trovare una casa in affitto a Montichiari. Dopo numerose telefonate, visite e appuntamenti, abbiamo contattato un’agenzia immobiliare del posto. La risposta ricevuta è stata chiara quanto brutale: «Nessuno vuole affittare casa a extracomunitari». Nessun tentativo di mascherare il rifiuto, nessuna reticenza ipocrita. Solo la nuda e cruda verità di una discriminazione che, nel 2025, dovrebbe appartenere al passato, e invece è ancora radicata nel presente, soprattutto in certe realtà provinciali dove l’ignoranza sembra aver messo radici più profonde della solidarietà. Questi due ragazzi non sono numeri, né «problemi». Sono esseri umani in fuga da contesti drammatici, persone oneste, trasparenti, rispettose, che vivono con gratitudine ogni occasione che questo Paese può offrire loro. Studiano l’italiano, partecipano a corsi professionali, si impegnano per diventare autonomi, per contribuire alla società che li ha accolti. Non cercano favori, ma solo la possibilità di vivere con dignità, in una casa che possa diventare rifugio e punto di partenza per una nuova vita. Mi addolora profondamente vedere quanto poco siamo capaci di riconoscere il valore dell’altro quando questo «altro» ha un colore di pelle diverso, un accento straniero, un documento che non è quello «giusto». E mi fa rabbia che il pregiudizio continui a decidere chi ha diritto a un tetto sopra la testa e chi no. Mi indigna la cecità di chi ancora pensa che l’essere straniero equivalga a essere una minaccia. È una forma di violenza silenziosa, quotidiana, che mina alla base i principi della nostra convivenza civile. Eppure, nonostante tutto, non voglio tacere. Voglio usare la mia voce - e se serve anche la mia rabbia - per affermare che la presenza di stranieri in Italia è un valore irrinunciabile. È attraverso l’incontro, lo scambio, la contaminazione di esperienze e culture che una società può davvero crescere. Non possiamo lasciare spazio a chi, per ignoranza o paura, alza muri. Dobbiamo essere noi, cittadini consapevoli, a costruire ponti. Spero che questa lettera possa contribuire ad aprire una riflessione pubblica, perché il silenzio, in questi casi, è complice. E io non intendo essere complice dell’ingiustizia. Con rispetto e determinazione.
S. S.Insegnante
Carissima, comprendiamo il disappunto e pure la rabbia scaturita da una vera ingiustizia. Non volendo però limitarci a lisciare il pelo, cerchiamo di andare oltre, aggiungendo due spunti. Primo: servono ponti anche tra chi auspica un’integrazione sana e chi invece vorrebbe erigere un muro. E i ponti si costruiscono non con la furia né con lo sdegno, bensì comprendendo le ragioni dell’altro e partendo da esse al fine di tendere la mano. Siamo disposti a farlo? La stessa, encomiabile premura che abbiamo («abbiamo», prima persona plurale, noi e lei) nei confronti dello straniero, l’abbiamo pure per il vicino di casa che non la pensa come noi? Secondo: al di là dell’indignazione, se si vuole fare qualcosa di concreto occorre organizzarsi, accettando che molti non vogliano affittare casa agli stranieri e mettendo invece in rete chi sarebbe disposto a farlo, offrendo in cambio sicurezze e garanzie, affinché il generoso non venga alla fine gabbato. Sembra una banalità, ma non lo è mai passare dalle idee all’aiuto fattivo. In questo senso - ci sia concessa una provocazione - è più utile la normativa voluta dalla destra che fa da deterrente per chi occupa abusivamente un’abitazione, di tante belle parole e proclami di principio. Perché un conto è tutelare il debole, un altro favorire il prepotente. Se vogliamo davvero risolvere il problema e non limitarci alla rabbia e al dispiacere, compiamo dei passi noi. Costruendo ponti, appunto. (g. bar.)
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