Noi, tagliati fuori dal lavoro senza possibilità

Lettere al direttore
AA
Le scrivo semplicemente per esprimere un mio stato d’animo: mi sento trasparente. Mi riferisco al mondo del lavoro, ho 58 anni, fortunatamente per i miei primi 25 anni di lavoro, ho maturato una grande esperienza nel marketing e comunicazione presso una multinazionale di elettrodomestici. Adoravo il mio lavoro, l’azienda la sentivo mia e tutti ci mettevamo l’anima nel svolgere i nostri compiti. Ho vissuto gli alti e bassi economici di questa azienda alla quale ho dato tanto ma ho ricevuto tante soddisfazioni. Dieci anni fa, la crisi che fa saltare tutto. Mi ritrovo a casa in cerca di lavoro alla soglia dei 48 anni, mi adatto e ricomincia a lavorare. Ora è circa due anni che provo a rimettermi in gioco con la consapevolezza e la maturità che la materia di comunicazione e marketing la conosco bene, il lavoro non mi spaventa, la stabilità familiare mi permetterebbe anche eventuali spostamenti o trasferte, ma dopo aver mandato più di 1.000 curriculum nessuno risponde. Perché? Sono troppo vecchia per il mondo del lavoro? Mi è stato risposto che il mio profilo è troppo alto! Ma cosa significa? Che sono troppo esperta? Qual è lo svantaggio? Forse pensano allo stipendio troppo oneroso? Ma parlarne no? Non chiedono neppure, nessun colloquio, niente di niente. Silenzio totale. Ho 58 anni, non ho un’età che mi consenta di uscire dal mondo del lavoro andandomene in pensione. E quindi? Mi domando qual è lo svantaggio per un’azienda di prendere una persona libera da impegni familiari (bimbi piccoli per esempio), con una buona esperienza e che non ha la necessità di dimostrare di essere la migliore per voler far carriera. Tutto quello che chiedo è di poter mettere a disposizione la mia esperienza in un ambiente stimolante e, perché no, imparare qualcosa di nuovo. La parte economica? Ok parliamone, non si pretende la luna, per me alla mia età è molto più importante trovare un ambiente dove essere apprezzati per quel che si è e che si può dare .
Lettera firmata
Carissima,
la sua lettera è toccante, capace di raccontare un’esperienza personale e insieme dare voce alla storia di centinaia di noi, della generazione «di mezzo», quella nata tra gli anni Sessanta e Settanta, cresciuta con la cultura del lavoro e spesso dell’identificazione tra individuo ed azienda. Donne e uomini a cui la crisi dei primi anni Duemila e la conseguente recessione economica ha tagliato le gambe, mandandoli al tappeto, come quando si prende un pugno alla bocca dello stomaco e ai polmoni non arriva più aria.
Qualcuno s’è ripreso rapidamente, qualcun altro con maggior lentezza, alcuni vivono tuttora la condizione che descrive così lucidamente lei: la «trasparenza». Per loro il mondo del lavoro s’è come avvolto in una pellicola impermeabile, con vie d’uscita e mai d’entrata. S’è chiusa una porta, insomma, e non s’è aperto nessun portone, lasciandoli sospesi, chi arrabattandosi in qualche maniera, altri restando definitivamente tagliati fuori.
E cos’è stato il discrimine? Perché qualcuno ce l’ha fatta e altri no?
Per merito? Anche.
Ma la differenza, la differenza vera a nostro parere l’ha fatta e la fa sempre il caso, la fortuna.
Esserne consapevoli, riconoscerlo, è onesto da parte di chi è riuscito a ripartire e necessario per quanti come lei sono rimasti nel limbo, affinché alla frustrazione non si sommi il senso di colpa. (g. bar.)
P.S. Ha chiesto l’anonimato e lo rispettiamo, ma chi volesse può contattare il Giornale. Saremo lieti per una volta di fare da tramite tra domanda e offerta. Così come, se le farà piacere, prenderemo volentieri un caffè insieme e parleremo, ci capiremo, guardandoci negli occhi, così da non sentirci, almeno per una volta «trasparenti».
Lettera firmata
Carissima,
la sua lettera è toccante, capace di raccontare un’esperienza personale e insieme dare voce alla storia di centinaia di noi, della generazione «di mezzo», quella nata tra gli anni Sessanta e Settanta, cresciuta con la cultura del lavoro e spesso dell’identificazione tra individuo ed azienda. Donne e uomini a cui la crisi dei primi anni Duemila e la conseguente recessione economica ha tagliato le gambe, mandandoli al tappeto, come quando si prende un pugno alla bocca dello stomaco e ai polmoni non arriva più aria.
Qualcuno s’è ripreso rapidamente, qualcun altro con maggior lentezza, alcuni vivono tuttora la condizione che descrive così lucidamente lei: la «trasparenza». Per loro il mondo del lavoro s’è come avvolto in una pellicola impermeabile, con vie d’uscita e mai d’entrata. S’è chiusa una porta, insomma, e non s’è aperto nessun portone, lasciandoli sospesi, chi arrabattandosi in qualche maniera, altri restando definitivamente tagliati fuori.
E cos’è stato il discrimine? Perché qualcuno ce l’ha fatta e altri no?
Per merito? Anche.
Ma la differenza, la differenza vera a nostro parere l’ha fatta e la fa sempre il caso, la fortuna.
Esserne consapevoli, riconoscerlo, è onesto da parte di chi è riuscito a ripartire e necessario per quanti come lei sono rimasti nel limbo, affinché alla frustrazione non si sommi il senso di colpa. (g. bar.)
P.S. Ha chiesto l’anonimato e lo rispettiamo, ma chi volesse può contattare il Giornale. Saremo lieti per una volta di fare da tramite tra domanda e offerta. Così come, se le farà piacere, prenderemo volentieri un caffè insieme e parleremo, ci capiremo, guardandoci negli occhi, così da non sentirci, almeno per una volta «trasparenti».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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