No agli armamenti, l’economia sia al servizio della pace

Lettere al direttore
Lettere al direttore
AA
Trovo vergognoso che ospitiate sul vostro giornale, in questi terribili tempi di guerre e violenze su cittadini inermi, la posizione di chi sostiene che l’economia di guerra possa essere un’opportunità. Cerchiamo di lavorare per la pace, la convivenza e il sostegno alle popolazioni inermi massacrate dalle guerre. Sono senza parole.
Claudia Capra
Brescia / Coloro che qui le scrivono hanno i capelli bianchi, dunque tanti anni sulle spalle. In gioventù e per molti anni a seguire abbiamo operato sui temi della pace e della nonviolenza sperando che le fabbriche di armi riconvertissero le loro produzioni in produzioni civili e in beni utili all’umanità, continuando a credere al sogno di Isaia: «I popoli non alzeranno più la mano contro altri popoli e non si eserciteranno più nell’arte della guerra... Trasformeranno le loro lance in falci e le loro spade in aratri…». Proprio per questo siamo sconcertati dall’articolo ospitato sul «Giornale di Brescia» di giovedì 4 aprile con il titolo: «L’economia di guerra sia un’opportunità». Un articolo tra l’altro con un titolo errato poiché l’economia di guerra è già un’opportunità. Lo è per le fabbriche di armi, lo è per il business delle armi! E il Governo del nostro Paese l’ha ben capito e non a caso sta smantellando la legge 185/90 che poneva severi limiti al commercio delle armi, che ora invece si vuole rendere più libero e meno controllabile. La preoccupazione è tale che nei giorni scorsi i Presidenti nazionali di Acli, Azione cattolica, Pax Christi, Movimento dei Focolari, Agesci e Comunità papa Giovanni XXIII, hanno scritto direttamente al presidente Mattarella per esprimere la propria contrarietà alle modifiche della legge 185/90. Tra di noi ci sono credenti e non credenti, ma tutti siamo con papa Francesco quando dice che «l’ira di Dio si scatenerà su coloro che parlano di pace e nello stesso tempo costruiscono e vendono armi». Ci spiace che il quotidiano della nostra città, spesso vicino ai temi della pace, abbia ospitato un articolo di questo tipo. Brescia è la città di Paolo VI ossia del Pontefice che all’Onu aveva gridato «Mai più la guerra…mai più la guerra… lasciate cadere le armi dalle vostre mani», e che poi ha istituito la Giornata Mondiale della pace. Brescia è la città del Festival della pace, la città frequentata a lungo da don Primo Mazzolari a cui dobbiamo quel testo fondamentale che è «Tu non uccidere». Brescia non merita che sia dato spazio a chi auspica che dalla guerra si possa ricavare un business.
Don Umberto Dell'Aversana; Andrea Franchini; Sirio Frugoni; Urbano Gerola Dante Mantovani; padre Mario Menin, saveriano, direttore Missione Oggi; padre Girolamo Miante, comboniano; Rosalba Panaro; don Alfredo Scaratti; Anna Scalori; Maria Scalori; Mauro Scaroni; Michelangelo Ventura; Giorgio Zubani
Brescia

Carissimi,

una risposta senza sofismi e limpida come acqua di fonte: pure noi siamo per la pace. Senza se e senza ma.

Ospitare un’opinione nella pagina dei commenti non significa che quell’opinione sia «del Giornale».

Non consideriamo allora montagna ciò che al più è una pietra aguzza, scivolosa, tagliente, e che ha comunque un merito: quello di non lasciarci indifferenti, di farci riflettere.

E in più, nell’esprimere sgomento, teniamo altresì conto della mole di articoli, interventi, editoriali contrari a qualsiasi tipo di conflitto e che auspicano ogni giorno pace.

Pace innanzitutto tra noi, ci verrebbe da scrivere, che stiamo dalla stessa parte e abbiamo un buon esempio da dare. (g.bar.)

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