Nata in Etiopia e adottata in Italia. Ma non le credono

Lettere al direttore
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La Sanità lombarda non ha nemmeno contezza dei cittadini italiani che risiedono in Lombardia. Mia figlia, nata in Etiopia, è cittadina italiana da quando è stata adottata, e cioè da 25 anni. Ha la carta di identità e sin dal suo arrivo in Italia, cioè dal febbraio 2001 è iscritta al servizio sanitario con tanto di tessera ovviamente. E da 25 anni usufruisce del medico di base, dal pediatra in poi, ha fatto vari ricoveri e visite specialistiche... Due mesi fa è scaduta la sua tessera sanitaria. Preoccupata del fatto che non le avessero recapitato quella nuova è entrata nel sito della Regione scoprendo di non essere iscritta al servizio sanitario. Telefoniamo alla sede di Ats competente e, sorpresa, ci viene risposto che deve portare il permesso di soggiorno! Perché? Chiede mia figlia. «Perché - risponde l’addetta dello sportello - ci risulta, dal luogo di nascita, che lei sia cittadina extracomunitaria e quindi deve mostrarci un permesso di soggiorno valido». Parole testuali! Sembra una barzelletta, ma è quanto è accaduto. Ho accompagnato mia figlia alla sede competente, l’addetta, imbarazzata, ha ovviamente aggiornato la tessera sanitaria e quindi mia figlia ha potuto riaccedere ai servizi del medico di base. Ma mi domando: questa situazione kafkiana capiterà a tutti i lombardi nati all’estero? Adottati o meno? Perché il criterio della azienda sanitaria è stato unicamente quello del luogo di nascita. È talmente surreale la situazione. È così drammaticamente tutto vero che il primo sentimento provato non è stata rabbia, ma un senso di insicurezza. Ogni certezza può essere scardinata da assurde e gravi inefficienze di chi invece dovrebbe tutelarti. E qui parlo di salute.

Elsa Boemi

Gentile Elsa, quanto accaduto a sua figlia è davvero surreale. Oltre che estremamente mortificante. Voglio credere - e non vuole essere una scusante - che sia stato generato dall’inesperienza o incompetenza dell’operatrice. Non sappiamo per quale ragione sua figlia non risultasse iscritta al sistema sanitario, ma anche ammettendo un baco informatico, non è sufficiente guardare il luogo di nascita per pretendere il permesso di soggiorno. Un dipendente pubblico dovrebbe sapere che esistono cittadini italiani nati all’estero. E se non gli è stato insegnato nell’affidargli lo sportello, dovrebbe saperlo quantomeno come elettore, essendo pure lui chiamato alle urne questo fine settimana: il quinto quesito referendario (ne parliamo a pagina 6) infatti riguarda proprio l’iter per ottenere la cittadinanza. Sia chiaro: non viene messo in discussione il diritto per i cittadini non comunitari che ne hanno i requisiti, bensì i tempi, con la proposta di ridurre l’attesa da 10 a 5 anni. Ma sua figlia è tutt’altra storia. E qualcuno le deve delle scuse. (n.v.)

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