Mio figlio bocciato. Lui ha sbagliato, ma pure la scuola...

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Scrivo con amarezza e delusione a seguito della mancata ammissione di mio figlio all’esame di maturità presso l’Istituto «Cerebotani» di Lonato del Garda, dopo ben sette anni di frequenza. Sono consapevole che mio figlio non sia stato uno studente modello: ha avuto difficoltà, ha commesso errori e ha sicuramente responsabilità dirette in questo esito. Ma non posso fare a meno di interrogarmi anche sul ruolo della scuola. Mi chiedo se sia giusto che, al termine di un percorso così lungo, l’unica risposta possibile sia l’esclusione dagli esami. Non c’era davvero alcun modo per coinvolgerlo, per sostenerlo, per motivarlo in un momento così importante della sua crescita personale? La scuola, oltre a trasmettere conoscenze, ha anche una funzione educativa e sociale. E proprio perché questo era l’ultimo anno, mi aspettavo uno sforzo in più, un gesto di fiducia, o almeno un tentativo più deciso di recupero. Sono deluso, certo, da mio figlio, ma anche da un sistema che sembra arrendersi troppo facilmente, che non riesce - o non vuole - tendere la mano fino in fondo. Speravo che l’Istituto Cerebotani fosse un luogo capace non solo di formare studenti preparati, ma anche cittadini consapevoli, ragazzi che, pur con difficoltà, venissero aiutati a trovare la propria strada. Oggi, purtroppo, non posso che constatare il fallimento di questo intento.

Angelo Scalmana
Mazzano

Caro Angelo, nei panni di padre, ma anche di figlio e di professori, cerchiamo di metterci anche noi, rendendoci conto dei sentimenti contrastanti che albergano nel cuore di ciascuno. Cominciamo da professori e professoresse, perché alla fine il «sistema scuola» lo fanno loro. Ed è vero che in linea di principio, per come intendiamo l’educazione, la bocciatura è un fallimento innanzi tutto per il corpo docente, tuttavia saremmo superficiali se esaurissimo la questione così. Esiste infatti sempre un «concorso di responsabilità» e per discernerne le componenti bisognerebbe entrare nel caso specifico, cosa che non possiamo né vogliamo fare, non avendo conoscenza adeguata. Ognuno risponde alla propria coscienza. Passiamo allora a suo figlio, ricordando di essere stati figli e dunque ragazzi anche noi. Chissà cosa gli passa nella testa, chissà se sarà nella fase «me ne infischio e vadano al diavolo tutti e tutto» oppure sarà mortificato, chissà se prevarrà il dispiacere, il rimorso o l’indifferenza? Una cosa è certa: gli errori che ha commesso li ha pagati cari e tutti sulla sua pelle. Non è un dramma epocale, ma le cicatrici resteranno a lungo. Infine lei, al quale - da genitori - ci sentiamo più affini. Per questo comprendiamo delusione e rabbia, con la necessità di uno sfogo. Così intendiamo infatti la sua lettera: uno sfogo; prendersela con qualcuno, avendo le buone proprie ragioni, sapendo altresì di non essere esente dalle responsabilità. Allora le diciamo questo: ognuno vorrebbe proteggere i figli e spronarli, affinché percorrano sentieri piani e abbiano nella vita soddisfazione e successo. Non siamo però onnipotenti e raramente il viottolo che individuiamo noi è quello migliore per loro. Mettiamoci dunque il cuore in pace, accettando inciampi e passi falsi, accontentandoci di stare accanto, sapendo che in ogni storia la differenza la fa il lieto fine, non un singolo capitolo. (g. bar.)

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