Mia figlia uccisa in maniera atroce: potevamo salvarla?

AA
Perdere una figlia è la peggiore prova di vita che un genitore possa affrontare, se poi te l’hanno uccisa in maniera così disumana è inaccettabile. Ti poni mille domande: «Perché tanto male a noi?». Ti rivolgi a Dio chiedendogli: «Ma tu dove eri? Perché non sei riuscito a fermare la cattiveria dell’assassino?». Quando la notizia della morte di Simona si è diffusa, in pochi sono rimasti sorpresi, perché la sua situazione era nota oltre a noi familiari, anche agli amici e conoscenti, alle Forze dell’ordine, alle quali abbiamo chiesto aiuto tante volte, al tribunale, all’Amministrazione comunale, al suo medico di base, che tante volte l’ha medicata, ai vari Pronto soccorso, ai C.P.S, al reparto di psichiatria dell’ospedale di Iseo dove era stata ricoverata tre volte e alle varie associazioni che si occupavano della violenza sulle donne. Eppure Simona l’abbiamo lasciata uccidere in una maniera atroce. Io ho sempre pensato che se tutte queste persone avessero collaborato potevamo salvarla. Bisognava trovare un modo di separarli obbligatoriamente, aiutare e curare Simona, non solo a livello fisico ma soprattutto a livello psicologico, non solo imbottendola di psicofarmaci, ma aiutandola a ritrovare se stessa e a uscire dalla dipendenza da questa persona. Un violento, che la tagliava e poi con ago e filo la cuciva, che le spaccava il naso e poi glielo sistemava, come fanno i pugili, che le infilzava le cosce con le chiavi della macchina, che le ha provocato fratture, lesioni, ustioni e potrei continuare. Durante la convivenza con il suo carnefice Simona era diventata a sua volta violenta, per autodifesa. Un inferno durato sette anni. E la giustizia? Le leggi per questi gravi reati dovrebbero essere severe, ma nel nostro caso non è stato cosi. Un processo brevissimo; il pm aveva chiesto la condanna dell’ergastolo e sei mesi di isolamento diurno all’imputato, che era già stato processato per aver commesso altri reati. Con il rito abbreviato la pena si è ridotta a venti anni di carcere. Non ci spieghiamo perché per un omicidio così efferato possa essere concessa una riduzione di pena così consistente. La vittima lasciava un figlio minorenne che è cresciuto tra tante difficoltà e problemi. Un risarcimento l’avrebbe meritato ma non gli è stato riconosciuto. Questa è stata una grave mancanza. A noi genitori sono stati assegnati dei risarcimenti che non sono mai arrivati. In compenso in quell’aula di tribunale ci veniva spiegato che si, questo assassino l’aveva uccisa, ma che l’aveva tanto amata, e che la rottura dell’osso del collo di Simona poteva essere avvenuta per cause fortuite... Noi genitori con il cuore pieno di dolore abbiamo dovuto ascoltare anche questo, dopo che all’obitorio ci era risultato quasi impossibile riconoscere la nostra Simona, a causa delle innumerevoli tumefazioni. Io mamma prego Dio che non avvengano più certe crudeltà e che si possa intervenire in tempo per evitarle. Con questa mia lettera, che scrivo nella speranza che certi delitti non vengano dimenticati e che non si ripetano, vorrei ringraziare le persone che ci sono state vicine, in particolar modo il dott. Luigi Serra, all’epoca dei fatti responsabile dei Servizi Sociali del Comune di Provaglio d’Iseo, per la sua premura e sensibilità.
Bianca José Corridori
Provaglio d’Iseo

Alla vigilia dell’ottavo anniversario dell’atroce omicidio di Simona Simonini, la lettera-sfogo-appello di sua madre alla quale va il nostro caloroso abbraccio. Non so, signora Bianca, se la straziante sorte di sua figlia poteva davvero essere evitata. Non so neppure se e chi poteva interrompere quel girone infernale che l’ha intrappolata fino ad ucciderla. So però che tutto, proprio tutto va tentato. E per Simona forse qualcosa di più si doveva fare. Nelle parole struggenti di mamma Bianca non c’è rabbia, semmai tanto dolore e tanta amarezza. E l’appello: fate in modo che non avvengano più certe crudeltà. Si rivolge a Dio, mamma Bianca, ma anche a tutti noi, corresponsabili di una deriva collettiva che non sa difendere chi difendersi non può. Anche dopo, a strazio avvenuto. Ed è come uccidere una seconda volta. Ecco perché ad otto anni di distanza e davanti ad una ferita che sanguina ancora, è doveroso fare nostro il grido di dolore di questa mamma: mai più. Per Simona. E per tutte le altre. (n.v.)

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