Mi interrogo sul dolore provato per la morte del mio gatto

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Mi sono sbagliato. Anni fa un animaletto, già molto in avanti con l’età, è entrato prepotentemente nella nostra casa: non voleva andarsene dalla nostra finestra, stava fermo lì. Ma chi sei per voler a tutti i costi la nostra famiglia? Oh, perché hai scelto proprio noi? Poi, testa dura, piano piano, con le tue moine ti sei accasato! Non abbiamo mai saputo da dove arrivavi e non abbiamo mai saputo che facevi quando ti assentavi per tanti giorni, anche se lo immaginavamo… Topi, il nostro gatto dal nome buffo e dallo spirito libero, è entrato così nella nostra vita, ci ha scelto tra tante vite e non se ne è più andato. Sono sempre stato accusato di non volergli bene. Non è proprio così. Ma sicuramente qualcun altro della nostra famiglia gliene vuole di più, ed è una bella gara. Purtroppo Topi nelle ultime settimane è improvvisamente invecchiato condividendo con noi tutto il suo malessere, tutta la sua sofferenza fisica e la paura dell’inevitabile, facendo affiorare in tutti noi un forte sentimento di dolore empatico che forse, credevamo, fosse destinato solo ai nostri uguali, agli esseri umani. Condividere giorno per giorno la sofferenza, l’angoscia della morte, del distacco, è un passaggio difficile, anche quando questa è quella di un non-umano. Questa sofferenza, così sentita nel profondo da tutti noi, mi fa interrogare. Provare sentimenti così forti per un animaletto eleva il nostro spirito, la nostra umanità? Fa parte del concetto stesso di umanità? È giusto e rispettoso verso gli altri esseri umani provare tutto questo? Perché non tutti provano questi sentimenti allora? Non so, non ho risposte definitive, ma certamente Topi, come tutti gli altri animaletti di ogni famiglia, è stato una parte importante delle nostre vite, un forte collante per la famiglia, con tanto affetto e gioie regalate e il fulcro di sentimenti condivisi, cosa che proprio non avrei mai pensato essere così intensa, anche alla mia età: mi sono proprio sbagliato.

// Claudio Fossati
Cologne
Gentile lettore, credo anzitutto non ci si debba vergognare di provare sentimenti nei confronti di animali, definiti proprio «d’affezione» perché ci fanno compagnia in casa o vicino a noi, svolgendo o no lavori di nostra utilità... Soprattutto, non ci si deve vergognare di sentimenti che «aprono» la nostra sensibilità. Certo, gli animali a cui ci leghiamo, in genere ci restano fedeli e non deludono le nostre aspettative. Non così magari accade con le persone, ma perciò giudico salutare il fatto che ci si ponga qualche domanda sulla natura di quei sentimenti: perché così siamo costretti a fare i conti anche con quelli che proviamo verso gli umani... Quel che mi è difficile accettare è invece il desiderio, purtroppo crescente, di molti proprietari (tali si è, comunque) di trasformare l’animale in un «umanoide» (a propria immagine e somiglianza, sarei tentato di dire): non snaturiamone definitivamente... la natura. (g.c.)

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