Manca il lavoro oppure c’è poca voglia di lavorare?
Sono anni che in televisione, radio e a volte anche sui giornali si parla di disoccupazione e crisi dei giovani che non trovano lavoro e vorrei esporle il mio pensiero. Sono un «giovane imprenditore» classe 1974 della Valle Camonica e più precisamente di Pisogne. Le aziende di cui sono proprietario con mio fratello sono «nate dalla passione per il lavoro» la prima quest’anno compie i suoi primi 20 anni, la seconda 10 e l’ultima nata è al 3° anno di vita. Sono tutte aziende di servizi e più precisamente le prime due di impianti elettrici ed automazione industriale, l’ultima di fluidica in genere applicata ai macchinari industriali. Abbiamo la fortuna di avere clienti solidi in Italia, Europa e Paesi extra-europei con i quali abbiamo dei rapporti più di collaborazione che il classico rapporto cliente-fornitore, basati sulla correttezza delle azioni e con l’obbiettivo comune di realizzare impianti ben progettati e che durino nel tempo mettendo al primo posto la qualità e l’organizzazione. A questo punto si potrebbe pensare «Bè questo individuo di cosa si lamenta?? Ha delle aziende che lavorano e pare pure che guadagnino». Già ma sono abituato a pensare al domani e sono molto preoccupato perché non si trovano «giovani diplomati» che vogliano lavorare ed imparare a lavorare, gente da formare che cresca per un domani e potere avere grazie alla sua preparazione ed esperienza, chiaramente la prima parzialmente, si può apprendere a scuola ma l’esperienza si guadagna solo esclusivamente lavorando. La scorsa settimana abbiamo fatto una decina di colloqui di lavoro a neo-diplomati dei quali il 30% vuole proseguire gli studi, il 30% è venuto al colloquio «solo ed esclusivamente per curiosità» e il 20% non si è nemmeno presentato, senza tra l’altro avvisare, e il restante 20% ha bisogno di tempo per «riflettere». Premetto che durante i colloqui la prima cosa che viene detta al candidato è che lavori in zona, ce ne sono ben pochi e che i lavori sono in varie regioni italiane, quindi nella migliore delle ipotesi si parte il lunedì mattina presto e si rientra il venerdì nel pomeriggio, che dormiranno in alberghi da 3 stelle in su, che le spese sono tutte pagate, chiaramente c’è da lavorare e che tutti i mesi puntualmente riceveranno lo stipendio oltre a tutto ciò che la legge prevede dai contributi ai corsi (nessuno entra in cantiere se non ha tutti i corsi fatti e le ore per i corsi saranno considerate lavorative, e quindi retribuite) come anche l’abbigliamento, tutto perché anche l’immagine delle nostre aziende per noi è importante! Io mi chiedo: «Un ragazzo di venti anni che ha scelto una scuola professionale cosa vuole dal mondo del lavoro? Avrebbe l’opportunità di girare per il mondo "chiaramente lavorando" acquisire un bagaglio professionale e personale che solo chi ha visitato luoghi diversi o addirittura mondi diversi come possono essere la Cina o l’Oman può avere». Allora, mi chiedo, ma questa carenza di lavoro dove è? Non sarà invece che la vera carenza è quella della voglia di lavorare unita al fatto che la tecnologia illude questi ragazzi che tutto sia alla portata di tutti e che prima o poi si sveglieranno bruscamente capendo tardi che popolazioni oggi ancora affamate saranno i loro capi di domani e dove sono i genitori già quelli degli anni dal ’60 al ’70 quelli del 6 politico dove tutti dovevano essere laureati e avere la poltrona e i loro figli saranno da 6 - e si faranno comandare da qualche extracomunitario che affamato negli anni 2000 è venuto in Italia e ha acquisito quello che loro hanno schifato. Già sto chiaramente riferendomi ai giovani italiani, perché non tutti hanno le capacità e tanto meno la genialità di essere un cervello in fuga e la laurea non è un diritto, ma un privilegio sempre se raggiunta con passione perché anche io «da povero incolto» (perché non ho studiato) spesso mi scontro con ingegneri che veramente fanno fatica a disegnare una O con tanto di compasso in mano e guadagnano giustamente meno di un nostro responsabile di cantiere, magari operaio specializzato e chiaramente meno di me. Direttore, certamente comprende che questa situazione non lascia altra via a gente come me che quella di iniziare ad assumere extracomunitari, facendoli crescere sapendo che un domani saranno coloro che avranno la giusta esperienza per comandare.
// Lorenzo FelappiPisogne
Gentile Felappi, le riflessioni maturate a partire dalla sua esperienza di imprenditore, toccano diversi punti dolenti o, perlomeno, «sensibili» del nostro sistema economico e sociale: la disoccupazione, la formazione professionale, l’approccio al lavoro da parte delle giovani generazioni, il ruolo della manodopera straniera, la fuga dei cervelli... Solo ieri abbiamo pubblicato i dati Istat che registrano una nuova ripresa della disoccupazione, e incrociare questi ultimi con i suoi spunti critici ci aiuta a capire da un lato le potenzialità che il nostro sistema avrebbe, e dall’altro invece i suoi talloni d’Achille. C’è molto su cui riflettere. Mi permetto solo di obiettarle che la disoccupazione non la si può imputare a mancanza di voglia di lavorare... Da tempo abbiamo compreso che la ripresa dopo la crisi del 2008 non genererà un numero di posti di lavoro eguale a quelli persi in questo decennio. Ma ci piace contare sul dinamismo di imprese come le sue per delineare orizzonti più rosei davanti ai nostri giovani volenterosi e a quanti, comunitari o extracomunitari non importa, mettono a disposizione degli imprenditori italiani la loro opera, le loro competenze e anche la loro intelligenza. (g.c.)
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