Mamma mia, aiuto. Sconcerto e timore per un geco in casa

L’attualità della stagione mi consente il racconto, se ben accetto, di un evento imprevisto che, per quanto banale, ha lasciato in me una persistente sgradevole sensazione: l’inaspettata comparsa di un geco, un rettile definito innocuo ma emotivamente disturbante. Mi stavo dirigendo verso la camera da letto quando, nel breve percorso, sono trasalita alla vista di uno strano essere somigliante ad una grossa lucertola ma di colore grigiastro indefinito, che mi superava di gran corsa per infilarsi nella stanza adiacente. Quella presenza improvvisa, a quell’ora tarda, con la scorsa luce, mi ha lasciata impietrita: seguirono attimi di panico mentre tentavo di classificare quell’essere sconosciuto e, possibilmente, neutralizzarlo. Nel frattempo assistevo terrorizzata alle mutazioni corporee del rettile, in particolare colore e gonfiore dell’addome, probabili metamorfosi come sue reazioni di difesa, ma che ai miei occhi apparivano raggelanti. Ebbi la prontezza di chiudere la porta e quel gesto mi rincuorò perché almeno sapevo esattamente dove collocare la sua presenza. Restava l’incognita di sloggiarlo: mi ricordai di una striscetta adesiva acchiappa-insetti che depositai sul pavimento con l’aggiunta di foglioline di rucola, nell’illusione di attirarlo verso una zona verde. Per tre giorni ignorai il geco rinchiuso nella stanza, osservando però furtivamente che, purtroppo, stazionava sulle pareti della stanza e, nonostante la finestra socchiusa, non tentava la fuga all’esterno. Al quarto giorno, con grande sollievo, notai che i suoi movimenti erano rallentati dalla striscia adesiva: colsi l’attimo e lo sollevai con una pinza raccogli-oggetti per poi abbandonarlo al suo destino nel mondo verde del vicino giardino pubblico. Nessun rimpianto, lui ha ottenuto la dovuta libertà. Nella circostanza, a me sovviene la nota espressione: «Amo la natura, ma quando sta al suo posto», e quindi non s’intrufola in casa mia sotto l’aspetto di un geco disgustoso e camaleontico, in quel modo furtivo, a quell’ora tarda, lasciandomi un ricordo negativo di sconcerto e timore.
Adriana PasiniBrescia
Cara Adriana, in principio, i complimenti: ha saputo trasformare un dettaglio da poco in un racconto tanto breve quanto appassionante. Non è da tutti. Il resto è una morale. Perché lei ha descritto perfettamente il rapporto con la natura degli esseri umani contemporanei: la amiamo, finché «sta al suo posto». Peccato che quel «posto» sia dappertutto e siamo noi i «fuori posto» quando ci collochiamo al centro e giudichiamo il resto come strumento o, al più, orpello. È per evitare di incorrere nell’identico errore che punteremo la nostra difesa del geco non già sulla sua utilità - che è notevole: pensi, ad esempio, che un singolo esemplare può mangiare fino a duemila (duemila!) zanzare in una notte - bensì sulla sua bellezza. Già, la bellezza del geco. Forse non per i parametri estetici umani, ma certo per quel miracolo perenne ch’è la natura: esso è un prodigio di eleganza, d’abilità, di resilienza. Su questa terra il geco c’era assai prima di noi e crediamo assai a lungo ci sopravviverà. La prossima volta dunque, cara Adriana, superi l’atavico timore e provi sì sconcerto, ma in positivo, conscia che si sta trovando innanzi non un banale e innocuo rettile, bensì sua maestà lo Hemidactylus frenatus, conosciuto banalmente come «geco» o, per i più dotti e poetici, come «lucertola lunare». (g. bar.)
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