Malattie croniche e depressione. Non siamo soli

Sempre più persone oggi soffrono di depressione. Per un motivo o per un altro. Desidero raccontare la mia esperienza. Da quasi dieci anni sono in cura per una depressione che mi sono trascinato da tempo, ho la mia cura, ma a volte i medicinali non sono sufficienti. Ho dei momenti di sconforto, confusione, sbalzi di umore e soprattutto, non essere compreso. Alcune volte ci si sente stanchi di andare avanti e mollare tutto, ma subito però questo desiderio svanisce perché fortunatamente si pensa alle persone più care che ci sono vicine, allora si cerca di andare avanti. Non è una bella vita, ti senti diverso da altri. Vedi chi è spensierato e apparentemente senza problemi. Vivere con tanti disagi ti logora con il passare del tempo. Io mi sto accorgendo di questo. Ultimamente non provo molto interesse per tante cose che invece prima mi appassionavano. Quella stanchezza che ti travolge senza capire perché e le notti insonni o disturbate dagli incubi. Desiderio di relazionare o parlare chiaro e dire come la pensi senza sentirti bloccato per poi tenerti dentro tutto e restare in silenzio. È difficile trovare qualcuno che possa capirti e aiutarti. Anche se alla fine dobbiamo essere noi stessi a risolvere i propri problemi. Però oggi, incontrare persone equilibrate con cui comunicare è difficile. In questi ultimi tempi ognuno pensa solo a sé.
Daniele TaglianiVorrei porre l’attenzione dei lettori sul tema «conseguenze delle malattie croniche». Come malata, e dal mio difficile vissuto, vedo ancora poca comprensione sull’effettivo impatto che la cronicità ha sulle vite dei malati. Partiamo con definire la parola cronicità: «Irreversibilità di uno stato morboso che dà luogo a un lento decorso senza possibilità di risoluzione (né di guarigione, né di morte a breve scadenza). Basta questa definizione per fare capire che la cronicità è un lungo logorio fisico e poi mentale. Questo ne scaturisce, la maggior parte delle volte una depressione. Altra malattia. Così da diventare un circolo vizioso. Un dolore fisico, un dolore psicologico, in quanto la persona affetta dalla patologia non riesce a condurre una vita «normale», ma adatta la stessa alla sua cronicità. Inoltre se il malato vive anche lo stress economico, perché per esempio ha una situazione finanziaria che fatica a mantenere o sollevare, diventa ancora più difficile, perché si accumula altro stress. Per quanto riguarda i rapporti umani, credo personalmente che ci si tenda ad isolare, la continua giustificazione dei propri ritardi, o malumori o assenze. Con l’andare del tempo è un peso che ci si scrolla di dosso non avendo a che fare più con nessuno. Gli sbalzi d’umore non sono da sottovalutare, una malattia vissuta in un contesto difficile può tirare fuori il peggio di te. Ed è proprio qui che entra in campo la comprensione. Perché giudicare, piuttosto di cercare di comprendere fino in fondo cosa una persona in realtà sta vivendo? Tutto questo io lo definisco: sopravvivenza. Perché sì gente, si sopravvive, non si vive quando la vita ti presenta un conto a lungo termine molto salato, quando una società non ti supporta ma piuttosto ti allontana e ti giudica. Con affetto a tutti i malati cronici. Non siamo soli. Ma non siamo ancora capiti.
Melania ManessiCari Daniele e Melania, uniamo ad asola le vostre lettere, poiché hanno un denominatore comune - la sofferenza - pur presentando due mali non perfettamente sovrapponibili: depressione e cronicità. Parafrasando Victor Hugo: una stanza è buia, l’altra nera. Avete ragione entrambi: impossibile per chi non le sperimenta in prima persona comprendere appieno il carico che comportano, difficile trovare qualcuno che possa aiutare. Tutti però possiamo «stare» accanto, astenendoci dal giudicare e mettendoci semplicemente in ascolto. Con il cuore, prima che con le orecchie. E quando saremo tentati di sentenziare avventatamente, ricordiamo il proverbio dei Sioux: «Prima di giudicare qualcuno, cammina per tre lune nei suoi mocassini». (g. bar.)
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