Luglio 2001: «guerra» di Genova da non dimenticare
Il ricordo di quelle giornate della «guerra di Genova» del 20-22 luglio 2001 ha sempre spaccato in due l’opinione pubblica. Erano i giorni del summit degli otto Paesi più industrializzati del mondo, il G8. In città erano previste le manifestazioni del movimento «no-global» nato e cresciuto a partire dalla storica dimostrazione di Seattle del movimento 1999, contro la conferenza dell’Organizzazione mondiale del commercio. Si trattava di un movimento eterogeneo composto da ambientalisti, pacifisti, cattolici, comunisti, anarchici, squatters, ma anche gente comune, uniti nella contestazione della politica economica globale. Erano attesi a Genova manifestanti di tutto il mondo e il governo guidato da Silvio Berlusconi prese imponenti misure di sicurezza. E infatti quella che accolse i manifestanti era una città fantasma. Negozi chiusi, strade deserte, forze dell’ordine ovunque. Il centro città, la «zona rossa», era inaccessibile, chiusa dentro un perimetro di cancellate di ferro. Il 19 luglio si tennero il corteo per i diritti dei migranti e il concerto di Manu Chao. Il 20, l’inferno. Nel primissimo pomeriggio, mentre sparuti gruppi di manifestanti creavano disordini contenibili dallo spiegamento di forze messe in campo assaltando il carcere di Marassi, banche e supermercati, le Forze dell’ordine intervengono prima in piazza Manin, caricando violentemente cattolici e pacifisti della Rete Lilliput - gente comune con le mani alzate pitturate di bianco che cantava inni di oratorio - e poi il corteo delle tute bianche. Il corteo, autorizzato, fu attaccato più volte senza alcuna ragione dai carabinieri, anche dalle vie laterali. Dall’attacco al corteo autorizzato scaturirono i disordini che degenerarono nei fatti di piazza Alimonda, dove trovò la morte Carlo Giuliani. La sera del 21, il G8 era terminato e mancavano pochi minuti alla mezzanotte, un plotone fece irruzione alla scuola Diaz. Nella palestra dell’edificio riposavano alcun manifestanti, molti stranieri. E alla Diaz fu un massacro. Dopo la chiusura dei processi che cosa resta di Genova, oggi? Sicuramente un senso diffuso di ingiustizia e una grande sofferenza umana. Tra le vittime delle violenze poliziesche c’è chi è morto suicida, chi ha subito gravi conseguenze fisiche, chi soffre di disturbi o traumi cronici che impediscono di svolgere una professione, chi di depressione. Hanno ancora incubi ricorrenti i torturati di Genova. Resta anche una forte sfiducia nella partecipazione politica. In quei giorni avvenne una sospensione dello stato di diritto, di fatto, avallato dai vertici della polizia e dal governo. A me piace ricordare Carlo come un ragazzo che sognava un futuro migliore per il nostro Paese e per il mondo, cui sentiva di appartenere e che desiderava più giusto, più libero, più democratico. Rivolgo un caro saluto a Giuliano padre di Carlo e a quella piccola grande donna che si chiama Heidi, madre di Carlo, che ho conosciuto e ho apprezzato 17 anni fa in piazza della Loggia durante la cerimonia che Brescia civile e democratica aveva promosso in memoria di Carlo Giuliani.
// Renato BettinzioliBrescia
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