L’orologio astrario di piazza Loggia e la sua originalità

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Recandomi nei locali dell’orologio di piazza della Loggia per controlli e regolazioni, mi soffermo a volte ad ascoltare i commenti delle persone che osservano il bel quadrante. Molti manifestano curiosità e si interrogano sulla misteriosità delle sue indicazioni non riuscendo a comprenderle appieno. Limitandomi all’indicazione della data, vorrei evidenziare un importante aspetto storico che lega il quadrante al calendario «Giuliano», definito da Giulio Cesare nel 46 a.C., e alla sua riforma voluta da Papa Gregorio XIII nel 1582, riforma che ha definito l’attuale calendario detto per l’appunto Gregoriano. Il legato storico con l’orologio e la particolarità dell’indicazione della data, ha le sue radici in queste importanti e storiche riforme. Il problema maggiore affrontato nella definizione del calendario, è stato determinato dal fatto che i cicli astronomici del sole e della luna, da sempre utilizzati per la misura e frazionamento dell’anno, non sono tra loro aritmeticamente compatibili. La terra gira intorno al sole in circa 365 giorni e la luna gira intorno alla terra nel ciclo delle sue fasi in circa 29,5 giorni. Sono proprio questi numeri e soprattutto i due «circa» che hanno complicato la storia del calendario e hanno lasciato una precisa impronta anche sul quadrante dell’orologio di piazza Loggia. La storia - nel 46 a.C., Cesare si trovava ad Alessandria d’Egitto dove conobbe Sosigene, un grande matematico e studioso della misura del tempo. L’antico calendario di Roma, basato su un anno di 355 giorni corrispondenti a 12 lunazioni, aveva urgente bisogno di essere riformato essendo a quell’epoca, in anticipo di quasi due mesi rispetto al ciclo solare. Cesare decise di riformarlo avvalendosi delle conoscenze astronomiche del mondo arabo già avanzate in questo campo. Tornando a Roma, portò con sé Sosigene e mise mano al calendario riportandolo in fase con le stagioni e lo trasformò da lunare a solare. Valutato secondo i calcoli di Sosigene che la durata della rivoluzione terrestre intorno al sole fosse di 365,25 giorni, stabilì che il calendario annuale fosse di 365 giorni e per compensare l’eccesso di 0,25 giorni, cioè di 1/4 di giorno, ogni 4 anni fosse inserito un giorno aggiuntivo che raddoppiava il 24 febbraio. Poiché secondo la terminologia romana il 24 febbraio era il sesto giorno prima delle calende di marzo, il giorno aggiuntivo venne chiamato; «bis sextus dies ante calendas martias», da cui derivò l’abbreviativo «bisextilis», tuttora in uso. Il nuovo calendario basato sulla durata dell’anno di 365,25 giorni, era già piuttosto preciso ma rispetto alla realtà manifestava ancora una piccola differenza essendo che l’anno dura 365,2422 giorni. L’aggiunta di un giorno ogni quattro anni, sia pure per una piccola entità era troppo abbondante e faceva sì che ogni 128,2 anni, il calendario ritardasse un giorno rispetto al sole e con il trascorrere dei secoli, gli equinozi e i solstizi non coincidevano più con le date del calendario. A questo punto dobbiamo cambiare scenario. Nel 325 d.C., l’imperatore Costantino il Grande convocò a Nicea, in Bitinia, il famoso Concilio Universale. Tra le altre decisioni, il Concilio promulgò la regola per stabilire la data in cui celebrare la Pasqua: «Tutte le chiese celebreranno la Pasqua nella domenica che segue il plenilunio successivo all’equinozio di primavera». L’equinozio di primavera, divenne il punto cardine per la definizione della data della Pasqua. Gli astronomi appositamente interpellati dai padri conciliari, indicarono il 21 marzo come data in cui in quella epoca si verificava l’equinozio di primavera, non mutarono però il criterio di introduzione degli anni bisestili, con la conseguenza che dal 325 d.C., lo sfasamento fra sole e calendario iniziò nuovamente a maturare un giorno ogni 128,2 anni. Questo faceva allontanare il 21 marzo dall’equinozio di primavera, alterando il rapporto tra religione e astronomia fissato dal Concilio. A riportare in fase il calendario fu Papa Gregorio XIII nel 1582. Su proposta di qualificati studiosi decretò che in quell’anno, al 4 ottobre seguisse il 15 ottobre, togliendo così i dieci giorni di sfasamento maturati facendo sì che l’equinozio di primavera tornò a cadere il 21 marzo e stabili il criterio di introduzione dei giorni bisestili nei secoli a venire in modo che non si verificasse di nuovo lo sfasamento. La spinta che ha portato all’introduzione della riforma gregoriana, è stata la ricerca di un corretto posizionamento astronomico della data della Pasqua continuando a usare il complesso rapporto tra i moti del sole e della luna. Le traversie cui è stato sottoposto il calendario, spiegano anche il motivo per il quale una delle più belle tradizioni della nostra terra, assegna la notte più lunga dell’anno a Santa Lucia. Essendo il sole astronomicamente più avanti rispetto al calendario, il solstizio invernale finì per coincidere con la ricorrenza della Santa. E qui siamo arrivati al nocciolo della questione. La scala del datario dell’orologio di piazza Loggia, evidenzia l’ingresso del sole in Ariete-Equinozio di primavera, in corrispondenza dell’11 marzo, non del 21. Realizzato nel 1547, 35 anni prima dell’introduzione della riforma gregoriana, il quadrante è stato tracciato basandosi sul calendario Giuliano allora in vigore. Penso sia importante che non sia stato modificato, essendo rimasto originale, è esso stesso una bella testimonianza dello sfasamento maturato a causa della piccola differenza di durata dell’anno calcolata per Giulio Cesare dal comunque bravissimo Sosigene.

Mario Margotti
Tempratore dell’orologio astrario di piazza della loggia Brescia

Caro Mario, ci aveva già conquistato con la qualifica di «tempratore dell’orologio astrario», siamo rimasti ancor più affascinati dalla storia che racconta. Perciò la proponiamo tale e quale, senza limarla di una riga, apprezzandone la spigolatura finale e altresì l’amplissimo preambolo, che carica a molla - è il caso di scrivere - curiosità e desiderio di conoscenza. Bravo Sosigene dunque, ma anche lei non scherza, avendo dato un senso al nostro stare sovente in piazza Loggia con il naso all’insù, sorpresi (in senso letterale, «presi da sopra») per tanto ingegno e bellezza. (g. bar.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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