Lo spiedo di Gussago è De.Co.

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Il triangolo «sapido» della cucina franciacortina ha il primo vertice a Rovato, sede di uno storico mercato boario, con piatti come il manzo all'olio ed i bolliti; il secondo sulle sponde del lago d'Iseo con il suo pesce e la tinca al forno che ha trovato casa a Clusane; il terzo vertice è rintracciabile a Gussago, paese d'elezione dello spiedo bresciano. Di questo, se permettete, voglio parlare. Tradizione gastronomica indissolubilmente legata alla vocazione del territorio bresciano per la caccia della selvaggina da penna, vede la sua evoluzione legata ai cicli delle migrazioni. Il primo passaggio era costituito dai piccoli uccelli a becco fine come il pettirosso (sbisitì) o il locherino (logherì), la cui caccia oggi è proibita che necessitando di una cottura non troppo lunga erano ben accompagnati da fettine di lombo di maiale arrotolate attorno ad una fettina di lardo ed una foglia di salvia. Con la migrazione di volatili più grossi quindi bisognosi di stare più tempo davanti alle brace, come il tordo bottaccio (durt; a San mattè el durt le'n pè) o l'allodola (sarloda), a mio avviso il miglior uccello da spiedo, il piatto si arricchiva con costine e fette di coppa di maiale, sempre sapientemente arrotolate con all'interno un pizzico di sale e salvia che mantenevano la caratteristica di queste prese: la croccantezza esterna e la morbidezza al cuore. Si poteva, a secondo della tradizione o della disponibilità, aggiungere anche pollo e coniglio. Quindi era il momento del tordo sassello (spenart) e della cesena (gardena) che per le sue dimensioni poco si presta a questo tipo di cottura. Anche il tradizionale strumento di cottura ha una storia antica ed affascinante che inizia con i primi spiedi mossi da braccia instancabili poi sostituite da ingegnosi sistemi meccanici e successivamente elettrici. Stupendo il sistema di ispirazione leonardesca che sfrutta la forza ascensionale del calore prodotto dal fuoco per far girare un'elica, posta all'interno del camino, a cui è incardinato un asse che tramite una serie di ingranaggi e pulegge trasmette il moto allo spiedo. Successivamente l'ingegno nostrano produce sistemi a molla che attraverso pesanti contrappesi o ricariche a manovella garantivano il movimento rotatorio all'asta posta innanzi al fuoco su cui erano infilate le prese. Per finire agli anni Sessanta con la nascita, in quel di Prevalle, delle macchine a cui oggi siamo adusi. Storia, cultura, tradizione e piacere per la convivialità, questo è lo spiedo per i bresciani. Piatto principe della nostra tradizione è stato, a mio avviso, spesso maltrattato. Nel Comune di Gussago, da poco più di un anno, è in atto il rinascimento, passatemi il termine, di questa straordinaria tradizione con il tentativo di uscire dalle tenebre di spiedi stiracchiati proposti in dubbie sagre paesane oppure serviti da osti «della malora» previa necessaria rianimazione per ridar vita dopo lunga ibernazione. La sinergia tra la dinamica amministrazione comunale, con in prima linea l'assessore Lucia Masutti e la neonata associazione «Ristoranti di Gussago», presieduta dal vulcanico Edoardo Ungaro, ha prodotto il protocollo per la De.Co. (denominazione comunale) spiedo tradizionale di Gussago. L'impegno delle parti è la promozione delle peculiarità enogastromnomiche del territorio attraverso varie iniziative tra cui il gran galà dello spiedo, cena dei mille sotto le stelle, andato in onda giovedì 8 settembre in piazza V. Veneto e la rassegna enogastronomica «lo spiedo scoppiettando» proposta tutti i giovedì sino alla fine di novembre, ad un prezzo promozionale, dai ristoranti associati.

Stefano Pazzaglia
Gussago

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