L’invasione, la Nato e lo sforzo di capire le ragioni degli altri

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Cercare di mettersi nei panni altrui come metodo per ridurre le possibilità di conflitto appare a tutti cosa ovvia. Il problema è che non basta condividere tale concetto, ma serve tradurre il pensiero in azioni. Ritengo infatti che ci si debba sforzare un po’ di più per comprendere le ragioni degli altri, come anche il Manzoni ci suggerisce. La Russia di Putin sembra essere una società amministrata in modo ancora meno democratico (per come noi intendiamo questo termine) dell’ex Unione Sovietica. Il potere decisionale è di fatto concentrato in una sola persona. Il risultato è quello che stiamo osservando ora con la catastrofica e scellerata «operazione speciale» in Ucraina. Una decisione di questo tipo è certamente condannabile. Dopo averla condannata, è cosa buona e giusta analizzare per bene le circostanze che l’hanno favorita e gli antefatti. La Nato venne istituita nel 1949 come alleanza difensiva contro un’ipotetica invasione sovietica dell’Europa occidentale. Anche dopo la dissoluzione dell’Urss resa ufficiale il 31 dicembre 1991 e nonostante si sia riconfigurata (dopo l’11 settembre 2001) come organizzazione per la lotta al terrorismo internazionale, la Nato non ha mai cessato le sue esercitazioni, sempre più muscolari e «suggestive», a ridosso dei territori ex sovietici. Anche la produzione cinematografica ha notevolmente contribuito a consolidare gli stereotipi della minaccia russa incombente. Se ci sforziamo di comprendere la paranoia del pericolo russo sempre manifestata dagli Stati Uniti, ci dobbiamo parimenti sforzare di comprendere anche la paranoia che Putin e i russi manifestano nella forma di fobia dell’accerchiamento. Quest’ultima è alimentata anche da evidenze oggettive, se si considera di quanto e con quale rapidità si sia ampliata l’area Nato intorno alla Russia. Il problema è che in queste aree vengono schierati missili che possono essere caricati con testate nucleari e raggiungere il loro obiettivo in tempi brevissimi. Stando così le cose, la fobia russa non ci deve poi tanto sorprendere. In un interessante articolo del 2021 (https://it.insideover.com/politica/quando-la-russia-voleva-entrare-nella-nato.html) il compianto giornalista e critico letterario Paolo Mauri ci ricordava come, nel giugno 1994, la Russia firmò un documento che rappresentava l’anticamera del suo formale ingresso nella Nato. Quest’ultima, a guida statunitense, nulla però ha fatto per favorire tale ingresso. Il bombardamento di Belgrado da parte della Nato nel 1999, che ritengo una decisione scellerata tanto quanto quella di Putin nei confronti dell’Ucraina, non ha certo avvicinato una Russia trattata un po’ a pesci in faccia. Ciononostante, quando Putin sale al Cremlino nel 2000 non abbandona l’idea di una distensione con la Nato, ma non accetta l’idea di essere trattato come membro meno degno, ovvero come un parente povero. Anche negli anni a seguire, la Nato a guida statunitense non mira certo ad accattivarsi le simpatie della Russia, nei confronti della quale si muove come un elefante in una cristalleria. Lo stesso Joe Biden in queste settimane ci ha offerto qualche esempio. Non ci si deve quindi meravigliare troppo se l’orso russo, più volte trattato con sufficienza od umiliato, si è progressivamente incattivito. Possiamo dare a quest’ultimo tutte le colpe che vogliamo, comprese tutte quelle che si merita, ma non è che così facendo abbiamo risolto il problema. La Russia avrà i suoi difetti e le sue paranoie, ma continuare a ignorare volutamente queste ultime e tenerla nell’isolamento non farà che peggiorare la situazione. Dobbiamo sforzarci di vedere le cose non da una sola angolazione, ma da angolazioni diverse. Capiremo forse che non è il caso di spingere sempre di più la Russia verso il drago cinese, anche perché, come ebbe a dire lo stesso Putin (nato a San Pietroburgo, ufficialmente capitale culturale della Russia e città dall’inconfondibile impronta italiana), la Russia, che è e si sente occidentale, fa parte della cultura e della civilizzazione europea. Dobbiamo trovare il modo di sotterrare il più presto possibile l’ascia di guerra e sforzarci di considerare ciò che ci unisce e non solo ciò che ci divide. Ciò significa anche che dobbiamo ripensare la Nato e considerare che non porta bene fare i conti senza l’oste (cinese).

// Omar Valentini
Salò
Gentile lettore, l’attenzione alle ragioni altrui dovrebbe essere sempre la precondizione di ogni confronto per evitare che si trasformi, in fretta e irreversibilmente, in uno scontro com’è avvenuto tra Russia e Ucraina, scontro sfociato in una vera e propria guerra d’invasione. Ma considerare le ragioni altrui non può voler dire rinunciare alle proprie né che l’interlocutore possa imporre a forza le sue. Tutti d’accordo che va sotterrata al più presto l’ascia di guerra, ma al contempo dev’essere «sanato» il vulnus nel diritto internazionale e dei popoli, consumato irresponsabilmente in questi tre mesi con l’invasione di un Paese sovrano. Anche questo è un conto da far tornare. Per scongiurare che in futuro altri osti possano pensare di farla franca imbrogliando con vino cattivo i commensali per poi pretendere di far tornare i conti secondo il loro... tornaconto. (g.c.)

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