L’ingiustizia fiscale tra tasse dirette e indirette
Alcuni giorni fa in risposta ad un lettore che le aveva scritto, ha citato anche con orgoglio giustamente, l’art. 53 della nostra Costituzione, che regola in modo progressivo la tassazione, cioè chi più consuma più paga perché vuol dire che ha più soldi. Ci si ricorda un po’, anzi tanto, di meno del primo articolo cioè che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, trasformandola sul diritto allo studio per cui occorre la laurea anche per fare l’operatore ecologico. Non importa se a scuola non si studia più di tanto quello che era una volta educazione civica, non importa se a scuola non si impara l’inno italiano e per sapere dell’eccidio degli ebrei, bisogna vederlo in televisione, mentre quelli della mia età erano eruditi nella scuola. Non è mia intenzione fare il nostalgico ma è indubbio che tante cose funzionavano con più serietà. Vengo alla motivazione dello scritto, citando l’art. 53 si è scordata di aggiungere che quando è stato promulgato non esisteva anche la tassazione diretta essendo nata anni ’70-’80 (?). Cosa succede: un lavoratore che percepisce 1.500 euro lordi decurtato delle tasse dirette dovrà vivere con circa 900 con i quali naturalmente pagherà anche quelle indirette, mentre un altro che guadagna 5.000 lordi tolte le tasse vivrà con circa 3.000. Lo spirito dell’articolo non è più rispettato, tanto è vero che questo ragionamento è stato proposto per la flat tax. Cioè che chi guadagnava poco traeva un minimo vantaggio mentre naturalmente era maggiore per i forti guadagni. Strano che certi ragionamenti i partiti li propongano solo quando ci sono interessi di parte. Mi rendo conto che non è affatto semplice fare il direttore, anzi complimenti e onore al merito, però poi succede che bisogna ascoltare scocciatori vecchiotti come me.
// Angelo BoldiResponsabile P. Pensionati Brescia Passirano
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