L’esempio di papà e questa politica che non riconosco

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Mi vien da scriverla, questa riflessione, nel giorno del mio compleanno. Non so perché penso più alle mie radici che al futuro. Futuro che appare a tutti niente affatto luminoso. E nelle mie radici ci sei tu papà! Immagino che per tutti, molti, alcuni, pochi, il papà sia un eroe. Per me tu lo sei stato da bambina da adolescente, da donna, da nonna e ti confesso che più mi guardo attorno nel mondo della tua passione grande, la politica, più eroe mi appari. Meno male che non ci sei a vedere lo scempio che se ne sta facendo! No, mai dirò che sono tutti uguali perché non è vero. 36 o 38 anni consigliere comunale di minoranza a Lumezzane. Quanti «strappi» in macchina da compagni, quante suole consumate tu che un’auto non l’hai mai avuta, quanti Consigli comunali con la notte successiva insonne come lamentava mamma, che io non capivo, il mattino. Parteggiavo per te così come ora penso che la politica dovrebbe essere come tu l’hai vissuta: servizio. Dovrebbe essere altro dai selfie, dalle «informazioni pubblicitarie» a pagamento, dai fan che un «grandeee» lo dedicano a ogni buca asfaltata, una ristrutturazione di un edificio scolastico a prescindere da costi lievitati e tempi «imprevedibili», un muro bordo carreggiata... Mai l’ammissione di umano errore: fieri comunque! Non disturbare l’autista, ops! Chi ha vinto (parola magica!) le elezioni! Se osi: «Rosica, rosica! Invidia! (di chi? di cosa?), radical chic, nome scritto sulla carta igienica (ho spalle forti, ma è pesante!), e magari pollice su istituzionale! Quanta responsabilità, nel clima già oggettivamente difficile, cupo c’è in chi ha un ruolo politico in questa perenne, aspra contrapposizione che non costruisce? A mio parere enorme: le parole contano, eccome. Oggi voglio pensare alle parole che fanno bene: ancor più quelle che arrivano dai ricordi degli amici, quelle che ti dedicano «avversari politici storici» che ti ricordano con grande stima. Grazie, papà.

Loretta Paolucci

Cara Loretta, la politica, quand’è «servizio», comporta inevitabilmente ciò che descrive lei:la fatica. Fatica nell’essere criticati e non poter criticare, fatica nel sopportare la solitudine di chi prende decisioni, fatica nell’essere etichettati di parte, fatica perché ogni cosa che si dice per alcuni è troppo e per altri è poco... Una fatica che sentono doppia le persone sensibili, coloro che non hanno pelle spessa e una faccia per tutte le stagioni. Però la ricetta che cura o almeno lenisce tanta fatica se l’è scritta da sé: «Pensare alle parole che fanno bene». Badiamo a dare ascolto a quelle che ci sono, impariamo a nostra volta a dirle, anche nei confronti degli avversari. Sapendo che i primi a giovarne, quando si pronuncia il bene, sono proprio coloro dalla cui bocca esce. (g. bar.)

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