Le origini italiane di Shakespeare Verità o romanzo

Lettere al direttore
Lettere al direttore
AA

Come molti hanno sospettato fin da subito, cioè già almeno quattro secoli fa, William Shakespeare, considerato il più eminente drammaturgo della cultura occidentale, è uno pseudonimo. Sarebbe stato facile per gli inglesi riconoscere chi era il vero autore delle opere che tutti conosciamo, anch’egli inglese per nascita, ma tale solo per circostanze fortuite. Il razzismo all’epoca, almeno in Inghilterra, era ben diverso da quello che conosciamo ora. A quei tempi non venivi espulso, ma semplicemente ci lasciavi le penne. I nativi dell’isola non erano particolarmente accoglienti, tutt’altro. Se non eri inglese, era facile venire accoltellato. Michelangelo Florio, coltissimo letterato e predicatore cattolico poi convertitosi al calvinismo, venne incarcerato a Roma e condannato a morte dall’Inquisizione, riuscì ad evadere dal carcere e a rifugiarsi a Londra. Là ebbe presto modo di sperimentare questa xenofobia. Visse il più possibile nell’anonimato e nel 1552 ebbe un figlio, Giovanni, o John, che alcune fonti inglesi, bontà loro, riconoscono oggi come il più importante umanista rinascimentale che l’Inghilterra abbia avuto. Con gli 8.000 vocaboli di cui disponeva allora la lingua inglese sarebbe stato difficile scrivere le opere di Shakespeare, che tutte, chissà perché, erano ricollegabili ai lavori di John Florio, compreso il dizionario di lingua inglese, il primo mai realizzato, imbastito dei neologismi di cui Shakespeare (cioè lui stesso) farà largo uso. Perché nascondersi? Le ragioni sono fin troppo chiare e ben spiegate da chi pazientemente ha indagato a fondo su tutta la storia. Gli inglesi hanno prontamente fatto sparire tutti i manoscritti delle opere shakespeariane, come pure tutta la vasta biblioteca di Florio, per potersi inventare dei fatti una versione di comodo, di impronta nazionalistica, rafforzata nel corso del tempo (anche con il beneplacito di Benito Mussolini, che non voleva fosse smentita, per evitare di inimicarsi Winston Churchill). Le prove del misfatto, cioè del falso storico, sono talmente tante che non possono essere riassunte in poche righe. Posso solo ricordare (cosa più unica che rara nella storia della letteratura) che non esiste una sola riga manoscritta (una!) delle opere di Shakespeare e che, come riconosciuto dalla stessa storia ufficiale, le sue due figlie erano analfabete (dobbiamo allora ammettere che il padre non si curasse molto di trasmettere la propria cultura in famiglia, come quella trasmessa invece da Michelangelo al figlio John).

Omar Valentini
Salò

Caro Luciano, comprendiamo che alla storia alternativa ci si possa appassionare, come a un romanzo. Lei ha citato il caso di Shakespeare, potremmo elencarne a frotte: dalle piramidi che non le avrebbero costruite gli egizi ad Hitler fuggito in Sud America, dalla Divina Commedia opera di un collettivo, alla «teoria del tempo fantasma», secondo cui una parte della storia antica, compreso l’impero romano, sarebbe stata inventata nel Medioevo. Un florilegio insomma, in cui la componente di realtà varia dal verosimile pallido al falso acceso. Ci perdonerà tuttavia se questo esercizio, al netto della curiosità del momento e del gioco di specchi che inevitabilmente si crea, ci intriga poco o nulla. Specialmente quando lo si associa a rivendicazioni per affermare ciò che piacerebbe o vorremmo, a seconda della circostanza. Anche perché - ammettiamo anche questo - siamo refrattari a ogni sciovinismo e al tirare la giacchetta di questo o quello con orgoglio nazionalistico, per convenienza, preferiamo raggruppare personalità di spicco e di genio in quella che Einstein chiamava «la razza umana». (g. bar.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Condividi l'articolo

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato