Le mura venete più importanti di un parcheggio
A partire dagli anni Settanta del XIX secolo, in un'epoca quindi in cui non era ancora stato definito l'odierno concetto di «bene culturale», le mura veneziane di Brescia furono oggetto di smantellamenti e demolizioni, perpetuatesi fin quasi alla metà del Novecento.
Con tali interventi, che non riguardarono esclusivamente Brescia, si pensava di permettere lo sviluppo urbanistico e viario delle principali città italiane, con risvolti - chiaramente - di carattere economico e sociale. Se i commenti circa l'urbanistica italiana del secondo Novecento sono a dir poco scontati, non si può affermare lo stesso per quanto concerne le antiche cerchie murarie d'Italia: sistemi difensivi e fiscali allo stesso tempo, le mura erano anche e soprattutto il simbolo materiale e identificativo delle città; erano, in poche parole, ciò che distingueva le città dai villaggi o dai paesi in generale. Se in alcuni casi, grazie anche all'intervento di sovrintendenti illuminati, le cinte murarie vennero percepite come monumenti da salvaguardare e non furono perciò distrutte (ed è ciò che successe ad esempio a Verona), a Brescia solo una piccola porzione dell'antico sistema difensivo - ricostruito a seguito delle Guerre d'Italia in diverse fasi tra Cinquecento e Seicento - fu risparmiata dallo sbancamento, peraltro non del tutto consapevolmente: le vestigia di quell'antico complesso ingegneristico-militare, che comprende anche il Castello, si possono osservare più o meno continuativamente da piazzale Cesare Battisti sino a Canton Mombello; qualche rudere è inoltre riemerso, fortunosamente e accidentalmente, grazie alla realizzazione di alcune aree verdi, per la precisione presso il parco «Torri gemelle» e all'angolo tra via Leonardo da Vinci e via Nicolò Tartaglia.
Si potrebbe pensare che dopo un secolo di demolizioni a danno di un notevole e articolato monumento militare del Rinascimento, si sia giunti oggi alla «tutela» e alla «valorizzazione» (concetti giuridici stabiliti dal Codice Urbani, D. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) di ciò che agli occhi sensibili delle moderne classi dirigenti dovrebbe sembrare un'opera da conservare scientificamente, ma non è così: il cantiere della metropolitana (in piazzale Cesare Battisti), i costruiti o costruendi parcheggi interrati (fossa Bagni e fossa di piazzale Arnaldo) e le discutibili sistemazioni di talune aree verdi (parco dell'Acqua e Canton Mombello) hanno irrimediabilmente compromesso la fruibilità delle mura veneziane di Brescia, soprattutto tramite la costruzione di strutture in muratura e la piantagione di grandi alberi d'alto fusto a ridosso delle mura stesse, come se fossimo in presenza di uno scarto vergognoso, di un rifiuto del passato, non riciclabile e da occultare.
Trascurando per un momento l'assurdità e l'incoerenza di certi messaggi impliciti (costruire una metropolitana per scoraggiare l'utilizzo degli automezzi a motore da una parte; progettare compulsivamente parcheggi sotterranei per incentivare l'uso delle automobili in un'epoca di recessione economica e demografica dall'altra), preme soprattutto in questa sede sensibilizzare i lettori circa l'impatto ambientale e monumentale che le suddette scelte para-urbanistiche hanno sulla città di Brescia: quello che potrebbe essere un grande parco archeologico è stato - ed è ancora - considerato solo alla stregua di un'immensa autorimessa. E ciò è ulteriormente dimostrato dalla scellerata decisone di ricavare dal colle Cidneo, parte integrante di questo particolare ecosistema urbano, un ennesimo inutile parcheggio sotterraneo, per di più con un grande impegno economico in un periodo di costante emergenza finanziaria.
Brescia, ex oasi bancaria e industriale dello sviluppato Settentrione italiano, ora patrimonio dell'Unesco, potrebbe e dovrebbe essere un faro culturale per tutto il Paese; potrebbe far convergere le poche risorse economiche pubbliche (e private) verso i veri servizi ai cittadini, che siano essi sociali o culturali, ricordando che anche in questo secondo campo esistono dei veri e propri servizi pubblici e i loro nomi sono «biblioteche», «archivi», «musei» e, per l'appunto, «monumenti» (come le mura).
Continuare a considerare quelli culturali come dei servizi di Serie B significa non puntare sul cavallo giusto: se l'Italia ha un patrimonio su cui investire, ebbene, esso è da identificarsi in quello culturale, soprattutto in chiave turistica.
Milioni di euro scialacquati per parcheggi inutilizzati e semivuoti da un lato, biblioteche (come la Queriniana) che non possono più acquistare libri, archivi e musei patologicamente privi di personale specializzato (e di progetti a lungo termine), mura nuovamente demolite e nascoste dall'altro; qualcosa, in questa mentalità, in questa città di torri mostruose e fuori posto, di «horror vacui», sembra proprio non funzionare.
Denunciare non è sufficiente: una soluzione esiste, ed essa consiste nella ridefinizione del Parco delle Colline Bresciane, in cui devono essere integrate proprio le mura (da restaurare) e le aree verdi connesse, paventando un intervento finanziario delle istituzioni e delle aziende che hanno causato il danno artistico-sociale di cui si è velocemente parlato.
Certo, ci vuole coraggio; oppure non rimane altro da fare che sperare in una futura ascesa di Civiltà.
Enrico Valseriati
Dottorando di ricerca
in Storia Moderna
Università degli Studi di Verona
Brescia
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