Le fucine di Odolo e il benessere che hanno portato

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Osservo incuriosita l’immagine dell’antica fucina situata nel quartiere S. Bartolomeo in città, che correda sul Giornale di Brescia l’articolo di Ruggero Bontempi dedicato al trekking urbano, struttura inserita nel «Musil - Museo del Ferro» e visitabile all’interno. Nel veloce collegamento visivo scatta il ricordo indelebile delle numerose fucine di Odolo in Val Sabbia, che hanno caratterizzato un’attività plurisecolare di forgiatori di attrezzi agricoli. Abitavo nelle vicinanze dell’antica fucina di via Ere, ormai demolita, e spesso mi soffermavo all’esterno per ascoltare il pesante battito del maglio azionato dalla grande ruota idraulica. Il flusso dell’acqua veniva movimentato dal fiume Vrenda che si snodava lungo tutto il paese. Sul lato della fucina sorgeva il lavatoio (el vals) per sciacquare i panni. Indiscussa l’abilità con la quale venivano forgiati badili, forche, zappe, vanghe, picconi, con un lavoro faticoso ed a ritmo continuo fra freddo e calore, reso possibile da pesanti e rudimentali meccanismi dell’epoca, ma assai efficaci. Una vita dura trascorsa in ambienti scuri e fuligginosi, scandita da lunghi orari di lavoro, i piedi calzati da zoccoli di legno sul rude pavimento in terra battuta, sollecitazioni e rimbrotti misti a bestemmie per mantenere ritmo e attenzione. A fine giornata dominavano fuliggine e colori nero e grigio, dal viso ai piedi. Venivano chiamati «i gacc de Odol» per l’antica consuetudine del lavoro notturno (i gatti prediligono la notte) e il richiamo vocale di strada in strada: non servivano suonerie e orologi, funzionava a dovere la chiamata collettiva notturna sotto le finestre di casa (Cfr. «El putì de la stanga» di Pietro Pasini - Gente Bresciana-Fondazione Civiltà Bresciana). Nella fase di ricostruzione del dopoguerra, geniali intuizioni, intraprendenza imprenditoriale e laboriosità temprata da fatica e resistenza fisica hanno saputo cogliere le nuove prospettive del mercato, dando vita alle numerose attività produttive della moderna siderurgia e creando crescita e benessere a vantaggio dell’intera comunità valsabbina.

Adriana Pasini
Brescia

Cara Adriana, quella tempra ha forgiato pure i caratteri, non soltanto il ferro. Ne dà testimonianza lei, in questo sguardo sul passato, profondo e acceso quanto il fuoco che alimentava la fucina. La nostra gratitudine va dunque a tutte le schiene piegate di allora e, nel contempo, alle teste fini che ingegnandosi hanno saputo leggere i segni dei tempi, mettendo a frutto i progressi della siderurgia. E se per mancanza di sensibilità e consapevolezza sono stati commessi degli sbagli, essi non possono fare velo sui meriti di una generazione che ha donato all’Italia intera, noi compresi, benessere e abbondanza (g. bar.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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