Le antiche origini di quella orrenda stella gialla

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Per ricordare uno dei più drammatici eventi della storia dell’umanità: la reclusione in campi di concentramento e eliminazione per sfinimento o nelle camere a gas di oltre 6 milioni di persone inermi, principalmente ebrei, per mano dei nazisti. Gli ebrei venivano identificati con la «stella di Davide» a 6 punte (due triangoli incrociati) di colore giallo. Su origini e significato del simbolo grafico ci sono ricerche e studi che ne documentano la genesi. Ve ne sono molto meno sul perché del colore giallo. La più significativa, a mia conoscenza, è la pubblicazione della studiosa tedesco-americana Elfriede Knauer «Leonardo Da Vinci Gioconda and the yellow shawl. Observation on female portraits in the renaissance» ripreso e integrato con ulteriore documentazione nelle mie recenti pubblicazioni. L’origine del significato del colore giallo, documenta la Knauer, si trova nella Apocalisse di S. Giovanni quando descrive la prostituta di Babilonia: «La donna era ammantata di porpora e di scarlatto, adorna d’oro, di pietre preziose e di perle, teneva in mano una coppa d’oro, colma degli abomini e delle immondezze della sua prostituzione». I colori evocati sono il giallo e il rosso: rispettivamente gli stigmi della vergogna e della lussuria. La attribuzione del giallo agli ebrei, in uso fin dall’VIII secolo, venne solennemente ribadita nel IV Concilio Lateranense del 1215: il decreto n. 68 stabiliva, tra l’altro, che gli Ebrei dovevano distinguersi dai cristiani per il modo di vestire. Il segno distintivo era chiamato «sciamanno»: l’enciclopedia Treccani così lo descrive: «Consisteva, per lo più, in un velo o in uno scialle giallo, o in un pezzo di stoffa dello stesso colore attaccato sul cappello o sull’abito. L’uso del contrassegno giallo per gli Ebrei fu reintrodotto dalla Germania nazista». Nei secoli seguenti il giallo diventa lo stigma non solo degli ebrei ma anche delle prostitute e, in genere, di tutte le componenti sociali marginali. Tutti gli Stati (Ducati, Regni ecc.) in sede di adozione delle «leggi suntuarie» con le quali venivano impartite prescrizioni sul vestiario alle diverse categorie sociali, confermarono lo stigma del colore giallo. A Venezia, per esempio, «Il Maggior Consiglio con un decreto del 1358 ordina ai capi contrada di individuare un luogo adatto a confinare le numerose meretrici cittadine. Viene scelta la parte più vecchia della città vicino a Rialto chiamata "il castelletto"... Il Consiglio dei Dieci impone pertanto regole da rispettare tra le quali l’obbligo di indossare per strada un fazzoletto giallo e zatteroni alti fino a 50 centimetri» (da qui il sinonimo «zoccola» attribuito ancora oggi alle prostitute). L’iconografia dei ritratti femminili di prostitute e «cortigiane oneste» e ricca di riferimenti al colore giallo o giallo/beige, fino al 1793 quando il Direttorio della rivoluzione francese abolì ogni prescrizione suntuaria. Per tornare al tema, si può sicuramente ritenere che il nazismo abbia recuperato quello stigma soltanto come citazione storica, ma forse i suoi ideologi l’hanno considerato una sorta di giustificazione per il loro disegno criminoso. Nelle loro menti folli il ragionamento autoassolutorio può essere stato il seguente: gli Ebrei hanno crocifisso Gesù Cristo, la uccisione di Dio val bene la eliminazione di qualche milione di loro discendenti. Della serie: il sangue dei padri ricade sui figli, all’origine di tante tragedie delle quali abbonda la storia della umanità. Ecco perché ghetti o contrassegni attribuiti ad alcune componenti sociali per renderle identificabili, (da qualche parte se ne parla con riferimento alla attuale ondata migratoria), possono essere foriere di conseguenze impreviste. Anche in questa circostanza la storia ha qualcosa da insegnare, sol che la si conosca.

// Sandro Albini
Sale Marasino

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