Lavoro e tengo duro ma quanta nausea per il povero Satnam

Lettere al direttore
AA
S o no una lavoratrice, madre di due bimbe stupende di 5 e 7 anni, subisco dell’odio, delle «rappresaglie» sul mio posto di lavoro, da quando ho avuto la mia prima maternità. Tengo duro, stringo i denti, ho bisogno di questo «misero» lavoro, da otto ore, ridotto a pochissime ore... Perché abbiamo un mutuo e delle bimbe da crescere. Io, nonostante il mal di stomaco di tutti i giorni, tiro avanti perché sono a tempo indeterminato, italiana, la mia famiglia è qui, sono madrelingua (e parlo altre 4 lingue). Il 24 aprile 2024 ho perso un amico, Matteo Cornacchia, morto sul lavoro. Questa premessa per dire che la mia situazione lavorativa è fortunata (a parte l’ulcera, se non peggio, che mi verrà), mentre il dramma del povero signor Satnam Singh, mi ha scioccata, indignata, traumatizzata... e mi vergogno di essere italiana, nessuno prende provvedimenti. Credo di rispecchiare un senso di nausea comune a tanti italiani. In merito a questo leggetevi «La nausea» di Jean-Paul Sartre.
Chiara
Cara Chiara,
la nausea che prova crediamo le faccia onore, così come l’indignazione che fa da filigrana alle sue parole, poiché denotano una sensibilità che non ha perso, una capacità di restare umana. Chi fa il nostro mestiere, raccontando ogni giorno il meglio ma soprattutto il peggio di ciò che accade, corre infatti il rischio di diventare indifferente, se non cinico, non impressionandosi per niente. Non è cattiveria, né gelo caratteriale, semmai una forma incosciente di protezione, un diaframma che si frappone tra la testa e il cuore.
Il caso di Satnam Singh è uno di quegli eventi che fa eccezione, che stupisce pure noi, che non può lasciare indifferenti e ci spinge a considerare l’altro al singolare, con una storia, un volto, una famiglia, un nome, non come semplice fenomeno sociale, categoria generica di lavoratori sottopagati e irregolari, che accettano di tutto per sopravvivere, venendo sfruttati da chi non ha scrupoli.
Ecco, se c’è un aspetto per cui le siamo grati è che con la sua lettera ci costringe a «guardare», a non essere involontariamente conniventi. Che solo così viene la nausea: rendendosi conto pienamente, tenendo fissi gli occhi fino a che lo stomaco trabocca, in questo caso di orrore. (g. bar.)
P.S. Orrore per Satnam, ma pure dispiacere per lei, per ciò che ci racconta del suo lavoro, per come lo vive. Vorremmo avere la lampada magica, diciamo la verità, per darle un’occasione d’impiego migliore. Non avendo poteri di alcun tipo ci limitiamo a dirle che le siamo vicini e che la stimiamo per il suo tener duro, nonostante ristrettezze e inciampi.
Chiara
Cara Chiara,
la nausea che prova crediamo le faccia onore, così come l’indignazione che fa da filigrana alle sue parole, poiché denotano una sensibilità che non ha perso, una capacità di restare umana. Chi fa il nostro mestiere, raccontando ogni giorno il meglio ma soprattutto il peggio di ciò che accade, corre infatti il rischio di diventare indifferente, se non cinico, non impressionandosi per niente. Non è cattiveria, né gelo caratteriale, semmai una forma incosciente di protezione, un diaframma che si frappone tra la testa e il cuore.
Il caso di Satnam Singh è uno di quegli eventi che fa eccezione, che stupisce pure noi, che non può lasciare indifferenti e ci spinge a considerare l’altro al singolare, con una storia, un volto, una famiglia, un nome, non come semplice fenomeno sociale, categoria generica di lavoratori sottopagati e irregolari, che accettano di tutto per sopravvivere, venendo sfruttati da chi non ha scrupoli.
Ecco, se c’è un aspetto per cui le siamo grati è che con la sua lettera ci costringe a «guardare», a non essere involontariamente conniventi. Che solo così viene la nausea: rendendosi conto pienamente, tenendo fissi gli occhi fino a che lo stomaco trabocca, in questo caso di orrore. (g. bar.)
P.S. Orrore per Satnam, ma pure dispiacere per lei, per ciò che ci racconta del suo lavoro, per come lo vive. Vorremmo avere la lampada magica, diciamo la verità, per darle un’occasione d’impiego migliore. Non avendo poteri di alcun tipo ci limitiamo a dirle che le siamo vicini e che la stimiamo per il suo tener duro, nonostante ristrettezze e inciampi.
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