L’assassinio di Kirk e l’uccisione del pensiero libero

L’assassinio di Charlie Kirk ha lasciato sgomenta un’intera comunità, non solo quella più intima composta dai suoi famigliari, non solo quella dello Utah che ha vissuto in diretta quel terribile momento, ma anche quella comunità di persone appassionate alla politica che ogni giorno lavorano al fine di promuovere la più alta forma di carità, come San Paolo VI Papa aveva definito la Politica. Perché questo era Charlie. Un ragazzo di trentuno anni appassionato di politica e innamorato del suo paese, gli Stati Uniti, al punto tale da mettersi in gioco in prima persona per contribuire e cooperare alla costruzione del bene comune. E ciò lo faceva anche attraverso l’organizzazione da lui fondata, Turning Point Usa, con la quale difendeva i valori conservatori e cristiani. Giovanissimo padre di famiglia e marito di un’imprenditrice di successo, Charlie era abituato ad esprimere il suo pensiero - talvolta con livore e passione ma sempre nel rispetto della persona e dell’arco costituzionale - mediante i suoi podcast, libri, dibattiti, convegni e comizi. Proprio come quello che stava tenendo all’Università dello Utah il giorno in cui l’hanno assassinato. Charlie stava esprimendo il suo libero pensiero nelle forme previste dalla Costituzione americana, la quale al primo emendamento tutela la libertà di pensiero e la libertà di parola. Due libertà fondamentali in un qualsiasi paese che si vuole definire democratico, oggi fortemente messi alla prova dai tanti, troppi, «illuminati» che ritenendosi superiori agli altri si arrogano il diritto di tacciare, denigrare, uccidere quanti non la pensano come loro. Ritengo che Charlie sia stato vittima di questo meccanismo. Oggi più che mai, dunque, è importante riscoprire il dialogo, la naturale dialettica democratica, che non si può limitare a urlare al pericolo dittatoriale e fascista quando le elezioni libere e democratiche sono legittimamente vinte dalla parte politica opposta, che non si può rassegnare alla legge del più forte, ma - fatti saldi i principi - deve tornare a dialogare e discutere, instaurando forme civili di dibattito partendo da un vero cambio di quel paradigma culturale che ritiene «inferiore» quanti non si allineano al proprio pensiero, dimenticando la comune appartenenza alla specie umana. Charlie è stato vittima di quanti non condividevano il suo pensiero, i quali invece che combatterlo con la forza della dialettica hanno preferito la codardia delle armi, ritenendolo meritevole di morire. E tale morte gli è stata inferta non solo con quel proiettile alla gola, ma anche con i messaggi e i post di quanti hanno esultato per l’accaduto finanche augurandogli la morte fisica nei momenti subito dopo lo sparo. Charlie è una vittima e un martire delle libertà, reo di aver espresso il suo libero pensiero, reo di lottare contro le derive autoritarie che si insidiano nelle democrazie attuali, ma ora, purtroppo, non potrà più pensare, parlare, lottare. A un’intera famiglia è stato portato via un figlio, un marito, un padre. Al mondo è stato strappato un fiero combattente per le libertà. A Dio, Charlie.
Stefano BertazzoniForza Italia Giovani Brescia
Caro Stefano, due sono le vittime di questo assassinio. Di ogni omicidio politico, diremmo. La prima è l’essere umano, con l’unicità che rappresenta e la rete di affetti, di relazioni che spezza. Quel figlio, marito, padre che piangono tutti, o almeno coloro che hanno un cuore che non sia di plastica. La seconda invece è la libertà. La libertà di pensare, in primo luogo, con tutti i figli che essa genera: il diritto di discutere, la possibilità di ragionare, la facoltà di obiettare, l’occasione di confrontarsi... In questo senso, quel colpo di arma da fuoco ha reso orfani noi tutti, sia coloro che erano sintonizzati sulla modulazione di frequenza ideale di Charlie Kirk, sia coloro che ne obiettavano asprezze, incongruenze e provocazioni. (g. bar.)
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