L’antico lavoro del «talparo»
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La ricerca non ha prodotto risultati, mi dice il Dizionario online della Lingua italiana quando inserisco la parola «talparo». Eppure io so che il talparo è esistito e girava un tempo nelle nostre campagne, perché me ne ha parlato oggi Valter, il mio amico che in campagna ci è cresciuto. Questa figura svolgeva un ruolo importante nella salvaguardia dei campi quando l’uomo, per fortuna, non aveva ancora scoperto la rapidità e la comodità delle «armi chimiche». Arrivava verso sera, in tempo per sedersi alla tavola del contadino per il quale doveva lavorare. Con lui e la sua famiglia condivideva la minestra; questa era la prima parte del pagamento che gli spettava per la sua opera. La seconda parte era rappresentata dal letto in cui riposare la notte fino quasi al sorgere del sole. Oggi, lo definiremmo vitto e alloggio! E poco prima dell’alba iniziava il suo lavoro. Si preparava in corrispondenza del monticello più grosso del campo, segno inequivocabile del lavorio di una vorace talpa. Non bisognava fare il benché minimo rumore ed essere attenti a non avere addosso nessun odore particolare: le talpe sono quasi cieche, ma hanno dalla loro odorato ed udito finissimi. Poco prima che arrivasse la luce, il monticello aumentava di volume segno questo che la talpa c’era ed era all’opera. Era allora che il talparo affondava la vanga e buttava per aria la zolla e con essa la talpa che veniva subito catturata. Il ricavato della vendita della sua splendidamente morbida e calda pelliccia completava il «salario» del talparo. Ecco l’origine dei colli delle giacche invernali delle donne degli Anni ’50. Ed allora il mio pensiero va al mio amico Enio che è disperato perché, nel giardino della sua casa in montagna, le lame del tagliaerba continuano a rompersi andando a sbattere contro i numerosi «monticelli delle talpe». Ha provato, anche se malvolentieri, a combatterle con il veleno, con gli ultrasuoni, ma invano. Forse, dovrei suggerirgli: «Chiama il talparo». // Tiziana Treccani Calcinato
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