L'amico disoccupato da tre anni

AA

Dopo avere incontrato un vecchio amico che non vedevo da tempo e dopo i convenevoli vengo a sapere che è disoccupato da quasi tre anni. «Cosa è successo?» risponde che il lavoro era diminuito per colpa della crisi e che in seguito alla riduzione del personale era accaduto l'irreparabile. Aggiunge di tirare avanti grazie alla famiglia che lo sostiene come può oltre a qualche ora fatta in nero ma mica sempre.
Non posso evitare di offrirgli un aiuto economico che rifiuta dicendomi della intenzione che ha di non arrendersi nonostante le volte che si è sentito rispondere «Le faremo sapere». Ricorda che ha sempre sperato in una risposta in grado di cambiargli la vita ma di come nel frattempo siano trascorsi gli anni. Se sei troppo giovane ti vogliono con esperienza e quando l'hai ti vogliono giovane, forse è meglio un no subito così si soffre una sola volta.
Ha un sorriso malinconico mentre dice che quando sente lamentarsi dello stress provocato dal ritorno al lavoro dopo le vacanze non vede l'ora di riprovare quel tipo di stress perché significherebbe tornare ad essere quel lavoratore che adesso non è più.
Che volete, mi vergogno un po', ricordo di averlo detto anche io, senza parlare di quando l'ho maledetto, il lavoro, per quanto è stancante e per il tempo che sottrae ad occupazioni più piacevoli o, specialmente di questi tempi, per i pochi guadagni che concede. Il lavoro, sempre il lavoro! Forse non ci si rende conto della enorme fortuna che si ha ad averne uno se non quando lo si perde o non si arriva a possederlo.
Che fine fa la dignità della persona, la tranquillità della famiglia, il futuro della società senza il lavoro, su cosa si fonderebbe il nostro Paese che lo ha messo come primo articolo della propria Costituzione? Il mio amico è convinto che la prossima sarà la volta buona, i posti sono due e gli aspiranti un centinaio. «Ti farò sapere!».
Il vento di fine estate annuncia l'arrivo dell'autunno, non sento se è caldo oppure freddo ma solo che mi fa lacrimare gli occhi ed incrinare la voce.
«Il peggior mestiere è quello di non averne nessuno». C. Cantù.
Giuseppe Agazzi
Rovato

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