La storia non è un codice fiscale. Forza Brescia!

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Domani, per Brescia e per il Brescia, ricomincia il campionato di calcio. Bene. Molto bene, anzi, poiché questa vicenda, sportiva e non solo, avrebbe potuto finire peggio: eccellenza, terza categoria, insomma, l’oblio. Osservata dal mio geografico esilio l’estate del Brescia calcio mi è parsa surreale, mix di teatro dell’assurdo, tragedia Greca e cinepanettone: quelli trascorsi dopo la serata delle illusioni contro la Reggiana sono stati giorni stranissimi e sospesi, fra la domenica di gelo alle tempie, leggendo le prime notizie di quelle grottesche irregolarità amministrative, e il mesto pomeriggio del 5 giugno, incubo vero, minuti passati a scrutare orologi e aggiornare inutilmente la pagina del vostro sito web. In quelle ore noi tifosi eravamo come sventurati topolini, paralizzati davanti al pitone, tremanti e indifesi. Spacciati. E il pitone ha un nome e un cognome, ma ora non ne voglio scrivere. Sembrava tutto finito ma, solo qualche ora dopo, inatteso e pertanto ancor più bello, si è aperto un percorso di speranza vera, di solidità di progetti, di passi concreti, roba mai vista prima, nemmeno ai tempi del miglior Corioni: il progetto di Giuseppe Pasini. Era tutto ciò di cui avevamo sognato per anni: una delle regioni più ricche d’Europa che scopre il calcio e gli imprenditori principali di quella stessa regione, coalizzati per il meglio. Erano i vecchissimi discorsi da bar di tifosi illusi, di sognatori impenitenti (con töcc i franc che ghé a Bressa...) che diventavano realtà sotto i nostri occhi! Oltre le difficoltà immediate di una categoria, la serie C, massacrante e crudele, ci sarebbe stato da gioirne, armarsi di pazienza e gioirne tutti insieme, cercando, da tifosi veri, di aiutare i protagonisti del progetto. Invece. Da subito si è levata qualche voce dissonante, nel nome di un totalmente malinteso senso della tradizione, della Storia, e insomma... questo non sarebbe il vero (?) Brescia. Perché? Perché il numero di matricola è diverso. Ovvero ci si concentra su una serie di numeretti che, immagino, identifica come relativi al Brescia alcuni faldoni nella soffitta polverosa della Figc (le soffitte sono tutte polverose!). Sembrerebbe incredibile, ma questi ci credono davvero. Ci stanno facendo una battaglia da ragionieri, col massimo rispetto per la categoria. Si scaldano per il numero di matricola, o quello di partita Iva o magari il codice fiscale. Fra l’altro strepitano fingendo di ignorare che nemmeno loro, col loro vero Brescia, avrebbero il magico numeretto, che è inchiodato fra le fauci dell’ultimo presidente. Ora, permettetemi: quando si sente proclamare «con Pasini abbiamo gettato 114 anni di Storia», cosa si intende, esattamente, per Storia? Per Storia si dovrebbe tecnicamente intendere tutto ciò che abbia avuto un senso, un valore, un’importanza tale da essere tramandata. Fissata per iscritto od oralmente, con immagini o riprese televisive di tutto ciò che è storico. Ovvero da ricordare. I ricordi, quindi. Qual è il ruolo di un codice fiscale in tutto ciò? La storia del Brescia, per me, è il ricordo di mio nonno che racconta di essere partito in moto (in moto!) da via Campo Marte una mattina di giugno del 1932, per andare a Bologna a vedere lo spareggio contro il Bari di Arpad Weisz. È mio padre che mi dice che lui, bambino, nella primavera del 1942, con le prime bombe inglesi che già colpivano la città, attendeva assieme a suoi coetanei il ritorno dei tifosi dallo stadium per chiedere: «Che gal fatt el Bressa?». E per me è il coro ultras che rimbombò negli spazi vuoti degli spalti di Wembley, 1994, con tremila bresciani a questionare la virtù della Queen, sulle note di Comme faccette mammeta... E ciascuno di noi tifosi ha esattamente un simile, immenso e incancellabile patrimonio di ricordi personali. Partite, acquazzoni, gelo e solleone, ansie, trasferte, radiocronache, vittorie poche, e sconfitte. Tutto ciò è esattamente la Storia del Brescia. Che non ha bisogno di una serie di numeretti per esistere, per essere tramandata. Questo, non altro. E ovviamente esiste anche una storia comune, collettiva, forse pure più importante per la tradizione. Sono i ventimila di Bologna, nel 1993 (oh, basta spareggi a Bologna, però) che sostengono lo sfortunato e perseguitato Brescia di Lucescu, o i trentamila che, il 5 di maggio del 2002, impazziscono alla rete di Bachini (per sempre grazie, Jonathan). Ed è già Storia anche l’esultanza degli oltre diecimila nella serata della grande illusione contro la Reggiana, e sapete che vi dico? Che si aggiungerà, si aggiungerà, alla nostra Storia anche la prossima ventura esultanza dei ventimila del Riga, alla rete decisiva che ci farà tornare in serie B. E magari, con pazienza e fortuna, si aggiungerà alla nostra Storia anche l’esultanza dei trentamila, in un nuovo stadio, alla rete decisiva per tornare in serie A! Succede, succede, diamo tempo al tempo. E lasciamo perdere i numeretti, i numerini, e tutte quelle altre attività solipsistiche che Gianni Brera attribuiva ai grilli, quando sfotteva i sostenitori di posizioni inutili e totalmente inconsistenti.

Paolo Frusca
Vienna

Caro Paolo, chi passa quotidianamente da questa pagina sa che - pur rispettando le opinioni di tutti - la pensiamo tale e quale a lei. L’eredità è un valore importante, ma proprio per questo non può coincidere con un identificativo burocratico. La squadra di calcio non è un codice fiscale, bensì una bandiera. Perciò non muore finché ci sarà qualcuno disposto a raccoglierla dalla polvere e a sventolarla, a maggior gloria. Ci uniamo dunque a lei: forza Brescia. (g. bar.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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