La simbiosi con uno strumento musicale
Grazie a chi, nella notte tra il 28 e il 29 maggio, a Brescia ha rubato dalla mia autovettura una chitarra e un basso elettrico, oggetti che per me avevano un grande valore soprattutto per la passione per la musica che coltivo fin da bambino.
Grazie per aver ferito la mia passione, il mio portafoglio, la mia voglia di credere che la spirale di degrado sociale a cui stiamo purtroppo assistendo da anni, avesse toccato il fondo.
Mi auguro che nessuno di buon senso possa acquistare, anche per pochi euro, i miei strumenti impregnati da anni del sudore delle mie dita; se, invece, qualche euro venisse guadagnato smerciandoli, spero solo che vada a sfamare qualche bambino. Preferisco pensare ad un furto per disperazione, anche se è una magra consolazione.
Paolo
No, chi non suona (o non ha mai suonato), non può capire fino in fondo l’amarezza che gronda dalla lettera di Paolo. Non fraintendete, non sto elevando il furto di strumenti a peccato capitale, da punire con pene medievali o torture inimmaginabili. Solo che vedersi portar via un qualcosa che è davvero una parte di te (i musicisti lo sanno...) , risulta amaro come il fiele. Un abuso, una violazione che nessuno potrà mai sanare, a patto di non recuperarne il possesso.
Già, possesso è un termine quanto mai appropriato quando si parla di uno strumento musicale, ancor di più se si tratta di quei fascinosi miscugli di legno e transistor che sono chitarre e bassi (o so, i tastieristi staranno protestando, ma - solo per questa volta - accetto critiche solo nel nome di Moog, Minimoog, Rhodes, Hammond etc etc). Paolo racconta di una passione che lo divora fin da bambino, e non riesce difficile immaginare il momento in cui ha acquistato il suo basso e la sua chitarra. La prima volta che ha accarezzato i tasti, girato i potenziometri. Collegato il jack ad un amplificatore o, semplicemente, suonandoli così, «al naturale». La prima volta in cui ti innamori di uno strumento, in cui decidi che sarà tuo, lascia un sapore dolce ed effimero. Effimero perché poi - sapete, i musicisti sanno essere volubili - si passa subito al passo successivo, quello in cui lo si può suonare per davvero. Senza badare al volume, o alle sgrammaticature che - a me capita sempre così - ti colgono quando sei in un negozio e devi capire se scegliere questa o quella chitarra, per non parlare dei bassi.
Ogni anno che passa, ogni accordo diventa un piccolo segno sui tasti del manico (col legno che pare smerigliarsi, fiaccato dalla continua tortura delle dita), una scalfitura sul corpo, un alone sulle meccaniche. E, in tutto questo, si forma la voce, l’intonazione del «tuo» basso, della «tua» chitarra. E credeteci se qualcuno vi dice che saprebbe riconoscerne la sfumatura. È una questione di amore, non è solo musica.
C’è poi il lato economico, tutt’altro che secondario. La strumentazione è un qualcosa che cresce anno dopo anno. Si inizia, magari, con i modelli economici, ma già si sogna di imbracciare la stessa sei corde di Jimmy Page, o di svisare sullo stesso basso di Jaco o di Paul. E allora parte l’operazione «salvadanaio», euro dopo euro, magari abbinandola alla vendita di quel particolar effetto comprato e mai utilizzato. Poi, all’improvviso, hai la cifra giusta, niente può tenerti lontano dal tuo sogno. No, se non suonate non potete proprio capirlo.
Ma, attenzione, che costi 100 o 10mila euro, conta tutto sommato poco. Una volta che è tuo, uno strumento acquista quel valore impossibile da eguagliare. Potrai ricomprarlo - anche se l’augurio è che Paolo riesca a tornare in possesso dei suoi strumenti -, ricalcandone modello, colore. Magari anno di produzione, se parliamo di strumenti vintage. La voce, quella no, non la ritroverai. Per un fatto di frequenze, ma non sonore. Sono quelle dell’anima, dove si annida questa passione stupendamente insensata che attanaglia i suonatori. E che ti lascia stordito, se qualcuno non rispetta i tuoi tesori, trattandoli come mera merce da furtare.
ro.ramp.
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