La raccolta del mais si faceva a mano e chiudeva l’annata
L'inizio della scuola, allora,alla fine degli anni ’50, le lezioni cominciavano il 1° ottobre, coincideva con il periodo della raccolta del «furmintù». A quel tempo non si chiamava mais. Tutt’al più granoturco. Prima dell’avvento delle trebbiatrici meccaniche, la raccolta del mais avveniva completamente a mano, pannocchia dopo pannocchia, lanciate, dai contadini, dentro i carri con le sponde in legno. Le «barose». Il carro con le «barose grande» occupava tre file di granoturco (i cosiddetti «colecc»), gli uomini, a fianco del carro, altrettante. Essi strappavano dalla pianta la pannocchia e la gettavano dentro al carro. Ogni tanto qualche pannocchia veniva «dimenticata» sulla pianta onde consentire alle «spigolatrici» di trovare qualcosa nel loro peregrinare successivo alla raccolta. Quella del mais, era l’ultima operazione di raccolta che si faceva in campagna, prima dell’arrivo di San Martino, termine dell’annata agraria, data entro la quale, l’11 novembre, si chiudevano tutte le partite di dare e avere con i fornitori e si confermavano o meno gli operai agricoli per l’anno successivo. E data, oltre la quale, a lavori annuali terminati, sarebbe cominciata la macellazione dei maiali con relativa produzione dei salumi fatti in casa con l’aiuto del norcino («el masadur»). Oggi il mais è il cereale più diffuso e coltivato in Pianura Padana, ormai sostanzialmente dedita ad una depauperante monocultura di tipo industriale. Fino agli anni sessanta solo una percentuale ridotta della superficie dell’azienda agricola gli era destinata, ciò in quanto la rotazione classica delle culture, prevedeva almeno 1/3 di terreno dell’azienda coltivato a prato. Per noi bambini che alle 16 tornavamo da scuola, quel periodo consisteva nell’assistere e partecipare all’operazione dello «scarfoià». Il togliere, cioè, le brattee dalla spiga (pannocchia) del granoturco. In quelle settimane, tutte le donne della cascina, si mettevano intorno al mucchio di pannocchie, sotto i portici delle barchesse, e, una per una, le pannocchie venivano private del loro involucro ormai secco. Noi bambini ci mettevamo vicino a loro e cercavamo di fare la stessa operazione, almeno con le pannocchie più piccole. Nessuna ricerca di Pokemon, né sedute pomeridiane spalmati sul divano davanti a tv o videogiochi, tutt’al più qualche partita a «ciancol» nell’aia, prima che le piogge autunnali e l’inverno ne impedissero, per qualche mese, la pratica. E le brattee (gli «scarfoi») che fine facevano? I più belli in qualche materasso, la maggior parte come lettiera per produrre letame, concime naturale e biologicamente ricchissimo che oggi non esiste più.
// Ludovico GuarneriGhedi
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