La parabola di Renzi da rottamatore a rottamato

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Le parole pesano lo sappiamo. Anche in politica, ovviamente, hanno un’importanza fondamentale. I politici vivono più di parole che di fatti, il verbo conta più dell’atto. Purtroppo. Negli ultimi anni però è divampata nel dibattito politico una parola che ha avuto un peso come mai nessuna prima. Rottamare. Il termine non ha nulla a che vedere con la politica e neanche con le persone. Si rottamano i veicoli o comunque vecchi oggetti, più o meno tecnologici, inservibili. Abbiamo imparato questo termine negli anni Novanta in riferimento a politiche che incentivavano la rottamazione delle vecchie automobili per l’acquisto di nuovi veicoli meno inquinanti. Ciò che viene rottamato è rottame cioè cosa vecchia, obsoleta e inservibile tuttalpiù da smembrare e riutilizzare come materiale metallico o per riciclare pezzi ancora funzionanti. Tuttora Treccani dà questo come unico significato del lemma. Accade però che un giovane politico toscano, al tempo Sindaco di Firenze, antropomorfizza il termine. Trasla nell’umano la parola. Propone la rottamazione di esseri in specie i rappresentanti della vecchia politica. I vecchi dinosauri che a suo dire tengono bloccata l’Italia. In particolare quelli del suo partito. È stato un successo spettacolare. La parola è rimbalzata su tutti i media con la velocità della luce. In tempi di antipolitica ha riscosso ovvi consensi, come si diceva una volta, bipartisan. Chi non ha apprezzato sono stati i rottamati, coloro che erano additati come destinatari della scure renziana. Sentirsi dare del rottame non è bello. Il giovanotto ha cavalcato l’onda diventando Premier e passando per numerosi successi alle primarie e soprattutto alle europee superando il 40%. Un tale risultato un partito di sinistra (su questo qualcuno avrebbe qualcosa da dire) non l’aveva mai ottenuto. Neanche il Pci dopo la morte di Berlinguer. I rottamati nel mentre se ne sono stati quieti in deposito ancora integri. Hanno atteso il tempo della riscossa. Il giovanotto nei suoi mille giorni di governo decide di affrontare la riforma delle riforme, quella costituzionale. Forte del consenso ottenuto, di una formidabile autostima e dell’accordo del Nazareno con l’inrottamabile Berlusconi. E qui i rottamati, che nel mentre sono aumentati di numero, si risvegliano e cominciano a progettare la vendetta. La lunga ed estenuante campagna referendaria si risolve in un tutti contro il rottamatore. Il giovanotto si riprende il suo 40% ma dall’altra parte c’è un 60%. La sconfitta è netta. Lui si dimette. Nonostante la disfatta si rimette in sella, stravince le primarie e ridiventa segretario del Pd. Ma la popolarità non è più quella, ormai non rappresenta più l’antipolitica ma i poteri forti. Perde nettamente le elezioni politiche, che lo vedono eletto in Senato, e il suo partito segna il minimo storico. Lui si dimette da segretario. Il Pd perde pure la recente tornata amministrativa. Lui non ne è il segretario ma la colpa è sua. Tutti lo vogliono in «esilio», dentro e fuori il suo partito. Da rottamatore a rottamato.

// Stefano Pazzaglia
Paderno Franciacorta

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