La nostra storia positiva con la comunità Shalom
Siamo i genitori di un ragazzo ospite della Comunità Shalom di Palazzolo sull’Oglio. Vorremmo raccontarle brevemente la storia che ci ha portato a conoscere la Comunità Shalom. Abbiamo tre figli, il più grande, ha manifestato ben presto problematiche di disagio alleviandole nell’alcol molto presto, verso i 16 anni. Ha così iniziato e compiuto diversi percorsi terapeutici, ma mai terminati passando attraverso un arrestato, processato per direttissima e condannato a sei mesi beneficiando della condizionale sia per lo stato di ebbrezza che per la resistenza. È così entrato nella Comunità Shalom, conosciuta attraverso amici di famiglia, la quale dopo averlo sottoposto alle dovute analisi tossicologiche, risultate negative, lo ha accolto ed ammesso all’entrata. Nei colloqui sostenuti con le varie figure professionali per l’ingresso è stato informato adeguatamente sul percorso che avrebbe dovuto affrontare. Per alcuni mesi non abbiamo visto nostro figlio, la comunità ci forniva notizie sull’andamento del percorso, non nascondendoci anche i momenti critici. Siamo arrivati così al primo incontro: subito ci è apparso in lui con tutta la sua evidenza quel sorriso perso oramai da anni. Contento ci ha mostrato la Comunità e illustrato la sua vita all’interno, ciò che svolgeva, il percorso che stava facendo accompagnandoci nel proprio alloggio, un’accogliente camera a quattro letti con bagno ben tenuta e ben pulita. Purtroppo dopo un anno e mezzo, nostro figlio si è dato alla fuga mostrando ancora tutta la sua fragilità ad affrontare la vita. Gli psicologi della Comunità ci hanno spiegato che proprio quando avvertono il cambiamento, è il momento in cui si corrono i maggiori rischi di abbandono del percorso. La questura di Bologna nel frattempo lo cercava come persona informata dei fatti riguardo alla scomparsa del suo compagno di fuga, dopo alcune settimane la stessa questura ci avvisava che si era recato presso di loro spontaneamente riguardo a quanto or ora esposto. Si è rifatto vivo dopo circa un mese e mezzo presso la nostra residenza ha chiesto di poter parlare non escludendo un ritorno in Comunità. L’esaltazione della fuga stava lasciando il posto al ragionamento e cominciava a recuperare le opportunità al cambiamento e alla crescita proposte dalla Shalom. Ricordava i compagni, il buon mangiare e i compiti di responsabilità che aveva raggiunto. Alcuni ragazzi gli erano stati particolarmente vicino e incoraggiato a continuare nell’impegno giorno per giorno. Cominciava così a prendere coscienza, non si sentiva ancora pronto ad affrontare il mondo. Dopo circa altri tre mesi ci ha inviato un messaggio telefonico in cui ci chiedeva se lo riaccompagnavamo in Comunità. La Comunità si è resa disponibile a riaccoglierlo. È stato di nuovo sottoposto a diversi colloqui per verificarne le motivazioni e il convincimento per poi ritenere di offrirgli sin da subito un’ulteriore possibilità. Nostro figlio oggi è riuscito ad entrare in contatto con la sua sofferenza che lo aveva portato a lenirla con la fuga dentro all’alcol ed al continuo perdersi nella vita. Durante gli incontri più volte ci ha dichiarato di non essere ancora pronto ad uscire, prefigura comunque un futuro. Questa è la nostra storia. Infine ci preme sottolineare che, la Comunità Shalom non ci ha mai chiesto un solo euro per il soggiorno di nostro figlio e ci siamo sempre resi disponibili ad autorizzare tutte le verifiche sui movimenti di denaro della nostra famiglia.
// Lettera firmataRiproduzione riservata © Giornale di Brescia
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