La mosca olearia e che fare (insieme) per sconfiggerla

Camminando per i tanti uliveti in Franciacorta viene il magone. Sembra di vedere le strade di Pompei con i pezzi di pietra pomice che grandinano preannunciando la tremenda eruzione. Qui sono grandinate le olive di quella che avrebbe potuto essere un’annata discreta dopo lo zero assoluto del 2023, le rese irrisorie (con punte negative al 3-4%) del 2024. I frutti superstiti sono tutti segnati dalle punture della mosca, marroni all’esterno e indecenti dentro. Sempre triste dover guardare in faccia la realtà, ma quest’anno l’olio sarà poco e pessimo. Chi ha fatto trattamenti o messo le trappole è riuscito a salvare qualcosa di passabile, soprattutto nelle varietà tardive come il leccio del corno o i pendolini. Tantissimi piccoli olivicoltori non raccolgono neanche, e per piccoli intendo coltivatori con 150-200 piante. I frantoi aprono a singhiozzo e si respira un’aria da funerale nonostante la resa delle olive sane sia abbastanza buona, intorno al 12-13%. Ho visto belle olive provenienti dall’Oltrepò pavese e tramite amici e parenti ho notizie certe che in Puglia, Calabria e Sicilia sarà un’ottima annata. Merito del grande caldo. Le larve della mosca non sopravvivono a temperature prolungate sopra i 32-34 gradi mentre amano quelle miti con alta umidità... Come qui da noi. La bactrocera (dacus) oleae sverna nelle drupe non raccolte o come pupa nel terreno. In primavera inizia il primo ciclo con 2-4 uova deposte ogni giorno, che diventano 15-20 ad inizio autunno. L’uovo si schiude dopo 2-3 giorni a seconda del clima e poi il bruco inizia il suo cammino dentro la polpa fino allo sfarfallamento. E qui si ricomincia fino a 4-5 cicli riproduttivi in una annata. Il GdB ha sentito spesso Penitenti che oltre ad essere agronomo è olivicoltore sul Garda. Lo conosco da quando era un giovane laureando e avevo scritto della sua tesi che era su «L’entomofauna del Sebino bresciano». I nodi Marco Penitenti li ha fatti venire al pettine: «Abbiamo un’analisi precisa del problema, conosciamo rimedi e strategie d’azione, ma rischiamo di non andare da nessuna parte se non si muovono le Regioni. Sul Garda c’è già stato l’abbandono del 20% degli uliveti e di questo passo arriveremo al 60/70% nei prossimi 10-15 anni. È un disastro non solo economico ma soprattutto paesaggistico e ambientale. I nostri amministratori devono capire che senza interventi rapidi ed incisivi l’agricoltura di collina e quella di montagna sono destinate ad una lenta agonia». Che fare? La lotta alla mosca si può fare solo se coinvolge la totalità delle piante. In Lombardia sono un milione. Servono i sindaci, associazioni molto radicate come l’Aipol, i frantoi che avrebbero lavoro anche in primavera per la distribuzione delle trappole, le aziende maggiori. Per i privati che hanno anche una sola pianta le guardie ecologiche potrebbero dare una mano... Serve un tavolo operativo, un coordinamento forte e capillare e i fondi non sono poi astronomici. Magnet Oli all’epoca costava 1,20 euro. Penso che la Regione potrebbe appaltare la fornitura per molto meno e comunque un milione di euro per Milano non sono poi una spesa proibitiva. Ma occorre vaccinarsi contro l’ambientalismo infantile che caratterizza, purtroppo, l’approccio ai problemi dell’agricoltura e soprattutto della montagna da parte degli ecologisti metropolitani che pesano molto sulle scelte della Regione. Forse qualcuno dovrebbe spiegare loro che Titiro è da un bel po’ che ha lasciato l’ombra del frondoso faggio. Ammesso che sappiano chi è Titiro.
Danilo RavariniCaro Danilo, per quanto ci riguarda le Bucoliche di Virgilio restano attuali, per cui Titiro - beato lui - dall’ombra di quell’ampio faggio non s’è mai schiodato. A destarci vorremmo essere però noi, raccogliendo il suo invito e facendovi eco. Il sorriso, ma amaro, lo riserviamo agli «ecologisti metropolitani», diventando invece serissimi quando si parla di appello «unitario», con la Regione chiamata a esser capofila d’un salvataggio che non può essere discusso. P.S. Chiediamo scusa per la divagazione, che prende spunto da un libro il cui titolo rimanda al nostro argomento. «Il signore delle mosche», che fruttò a William Golding il Nobel per la letteratura, narra di un gruppo di ragazzi bloccati su un’isola disabitata e dei loro disastrosi tentativi di autogoverno, del prevalere delle pulsioni, dell’egoismo. Se funzionasse davvero così, saremmo spacciati e la temibile bactrocera avrebbe vita facile a lungo. Nella realtà invece - come racconta Rutger Bregman nel suo «Nuova storia (non cinica) dell’umanità» - gli esseri umani sono assai più capaci di collaborare di quanto superficialmente si supponga. Ecco perché non disperiamo: la mosca olearia può essere debellata. Facciamolo. (g. bar.)
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato