La mia musica nel reparto Alzheimer

AA

Le scrivo per condividere la straordinaria esperienza che ho avuto modo di vivere, un venerdì pomeriggio, presso il nucleo Alzheimer della Fondazione «Giroldi Forcella - Ugoni Onlus» di Pontevico. Ho il piacere di collaborare con questa RSA da un decennio. Mi occupo di musica e di relazione d’aiuto attraverso la musica da oltre vent’anni (la mia disciplina è denominata «Musicoterapia»). Nel corso della mia esperienza sono entrata in relazione e mi sono occupata di realtà differenti: bambini, giovani e adulti con grave disabilità, anziani istituzionalizzati e con problemi di demenza senile. In tutti questi anni ho vissuto con i miei utenti e attraverso di loro, il piacere e la gioia di uno scambio mediato dal linguaggio musicale. Il mio è un lavoro creativo, fatto di pazienza e di attese, talvolta lunghe e irte di ostacoli ma, allo stesso tempo, il lavoro del musicoterapista riserva grosse soddisfazioni. Il sei aprile ero attesa presso il reparto «Girasole» della RSA di Pontevico. Quel giorno era previsto un incontro di «ascolto e stimolazione musicale» nel soggiorno del reparto (l’attività di musicoterapia richiede un setting adeguato e viene svolta in una stanza concordata con l’équipe di lavoro). Nel soggiorno del nucleo erano presenti una ventina di ospiti: alcuni di loro vivono in questa struttura da anni, altri hanno fatto il loro ingresso da poco. Tutti condividono la malattia di Alzheimer. Una signora disorientata vagava per la stanza, alcuni ospiti, seduti al proprio posto, erano affacendati in gesti e movimenti che rimandavano ad abitudini domestiche. Ognuno appariva assorto in un mondo con spazio e tempo diversi. Nella maggior parte dei presenti il livello di coscienza del presente era basso, qualcuno mi riconosceva e si avvicinava al tavolo dove posavo la tastiera e gli strumenti musicali. La mia impressione, in modo particolare con gli ospiti più compromessi, era di entrare in contatto con individualità diverse che non riuscivano a comunicare con l’esterno e con gli altri. È questo il motivo principale per cui l’invito a partecipare all’attività musicale non poteva essere «di massa» ma doveva essere misurato rispetto ad ogni persona. La musica è in grado di costruire un ponte fra due o più individui e riuscire a crearlo tra il nostro mondo e quello di un anziano malato è quanto di meglio possiamo fare se ci sta a cuore la qualità della sua vita. Il primo beneficio per il malato sarà quello di non sentirsi più completamente solo, sensazione comune a quasi tutti i malati di Alzheimer. L’appuntamento settimanale con la musica era atteso; l’obiettivo è offrire ai pazienti la possibilità di vivere un iter musicale accogliente e sereno. La musica è una lingua universale che da sempre appartiene all’uomo ed è piena di significati che non necessitano di essere decodificati per essere compresi. La musica è capace di coinvolgere non solo chi vi partecipa attivamente, ma anche coloro i quali si limitano a seguirne l’esecuzione. È in grado di catturare e fermare l’attenzione dei malati di Alzheimer e di farsi seguire in maniera ordinata dalla loro mente, dove regna l’anarchia di pensiero. Lo stato d’animo dei presenti, in cui l’intera esperienza musicale si svolgeva quel venerdì pomeriggio, era uno stato d’animo di gioia, di buon umore, di tranquillità e di benessere. L’incontro terminava con un canto mariano, seguito da un applauso caloroso. Nel reparto, insieme a me, erano presenti tre operatrici sanitarie, con le quali ho scambiato un feedback: i nostri pazienti, questi fragili e dolcissimi anziani, questi concentrati di storia e di saggezza, ci avevano regalato anche oggi un momento bellissimo, scaturito da emozioni nate dal riconoscimento di melodie familiari. I loro sguardi luminosi, carichi ancora di vitalità nonostante la malattia, ci avevano riempito di entusiasmo e ci spronavano a continuare in questa direzione, perché la musica può fare molto!

// Paola Olivari
Bagnolo Mella
Gentile Paola, condivido volentieri con i lettori la "buona pratica" della sua esperienza di musicoterapeuta insieme a persone che convivono con l'Alzheimer. Leggendo la sua lettera credo di aver compreso meglio le parole attribuite a Johann Sebastian Bach: la musica aiuta a non sentire, dentro, il silenzio che c'è fuori. (g.c.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia