La meccanica quantistica e il nostro mondo
«Il mondo è un pullulare continuo ed irrequieto di eventi che a noi appaiono come cose». Sembra una affermazione rassegnatamente attinente ai grovigli di guerre, attentati, esodi disperati, inquietudini sociali, inaccettabili disequilibri economici, irresponsabili sfruttamenti di ogni risorsa naturale, crimini ambientali, che avvolgono in un gomitolo arruffato un pianeta ferito, ma ancora paziente nei confronti di una umanità che lo aggredisce come una metastasi che cresce. Mi riferisco invece al racconto di ciò che accade dietro le quinte del palcoscenico delle cose che vediamo, così come ce le rivela la fisica da quando, nel secolo scorso, ha spinto la sua curiosità sull’immensamente piccolo. Einstein, con la sua sorprendente teoria della relatività generale, ha spalancato le porte sui misteri dell’immensamente grande, intuendo come spazio, tempo e campi gravitazionali si contorcono insieme per «essere universo» ed imprimendo di colpo un enorme balzo in avanti alle conoscenze dell’umanità. L’altro braccio della fisica, quella che si rivolge all’immensamente piccolo, ovverossia la meccanica quantistica, ha portato l’uomo a confrontarsi con realtà altrettanto misteriose e forse ancora più difficili da concepire. Scienziati altrettanto leggendari (Curie, Bohr, Pauli, Plank, ecc.) hanno lampeggiato all’inizio del secolo scorso sopra il grigio di una umanità inferocita in una guerra inutile come una malattia, infilandosi nel silenzio pericoloso dell’atomo e facendo luce sulla fisica della materia condensata, cioè sulle cose come noi le vediamo e come le tocchiamo. È stato scoperto così che l’universo è tutto un indistinto pieno, costituito da un agglomerato senza fine di «quanti», ovvero «atomi di spazio» (cfr. Rovelli), miliardi di volte più piccoli dei nuclei degli atomi stessi, intorno ai quali continuano a ruotare vorticosamente gli elettroni. Ogni nucleo di atomo è come un’infinitesima briciola di impasto di pane, dove si amalgamano, gli uni serrati agli altri, neutroni e protoni, costituiti a loro volta da particelle ancora più piccole, chiamate quarks. Tra di esse anche gli sfuggenti neutrini e l’ormai famoso bosone di Higgs, teorizzato da decenni, ma individuato solo qualche mese fa al Cern di Ginevra. Però, è proprio qui che viene svelato il grande mistero. Queste particelle non sono comparabili a piccolissimi sassolini, ma sono infinitesimi campi magnetici, il cui vorticoso sparire ed apparire è ciò che esiste. La meccanica quantistica è la scienza che studia il loro grande «perché» e che si chiede come facciano a riempire tutte le cose dell’universo con il loro fluttuare continuo tra l’esistere ed il non esistere, in un «continuum» senza limiti corporali. Come il baluginio di luce sulla superficie del mare, quando, illuminato da uno splendido sole, è accarezzato da una brezza leggera: un brillio rapido e lieve che si sposta da punto a punto e poi ritorna là dove era partito... forse... ma già sta altrove. Eppure questo movimento senza fine è il mare che esiste, concreto e certo. Questi campi magnetici, che appaiono e scompaiono come in un gioco di prestigio, si combinano in modi infiniti per essere percepiti da noi come cose esistenti. È difficile da immaginare, ma anche una roccia, paradigma della concretezza, è costituita da un fremito continuo di particelle che vivono vite istantanee che rinascono altrettanto istantaneamente, realizzando favorevolmente il concetto probabilistico tra fatto e risultato atteso. Mi abbandono un po’ a questo strano modo di vedere e provo ad immaginare le persone che mi stanno intorno come grumi di pulviscolo fluttuante, che non si rarefà neppure nell’aria che divide l’uno dall’altro. Mi chiedo allora dove sia il punto di fusione tra me e l’altro da me. Tra me e gli altri. Facile andare oltre e pensare al continuum tra la materia vivente e quella che per noi non lo è più, se la fisica delle particelle ti rivela, ad esempio, che il carbonio all’interno delle complesse cellule viventi è attraversato senza fine da un fremito quantistico che non smetterà, neppure quando sarà polvere, lo stesso salto probabilistico tra l’esistere ed il non esistere. Questo «continuum» quantistico rimpasta forse senza fine la materia vivente con quella che ha perduto il soffio della vita, come in una semina senza tempo, dove anche concime e frutto sono un fluttuare continuo tra l’esistere ed il non esistere? Avverto il montare di domande che mi infilano in una filosofeggiante spirale che non so padroneggiare e mi chiedo, senza riuscire ad andare oltre, quanti altri segreti sconosciuti vi siano nella vita di chi vive.
// Eliseo PapaBrescia
Il direttore risponde Ricordo un mio insegnate che, di fronte all’incalzare delle domande di noi alunni sul senso della vita, citando Kierkegaard ripeteva: «la vita non è un problema da risolvere. È un mistero da vivere». Con l’auspicio - questo lo aggiungo io - di saperne cogliere la meraviglia.
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