La gente in piazza, i disagi per strada e noi nel mezzo

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Sabato scorso il GdB riportava in prima pagina «Due milioni in piazza», come del resto molti altri quotidiani. A parte che i dati ufficiali riportano 400.000 persone, ma siamo abituati alle esagerazioni degli organizzatori, vorrei far presente che a fronte di 2 milioni (o 400mila) persone in piazza, altri 35 milioni circa di persone tra i 16 e 65 anni se ne sono stati a casa o sono andati tranquillamente (quando possibile) a lavorare o hanno cercato di andare a scuola. Purtroppo la legge di chi grida più forte fa dimenticare quella che è la realtà. Il 14 dicembre del 1980, esasperati dai soprusi della classe scioperante, si è svolta a Torino la marcia dei 40mila. Li avevano chiamati la «maggioranza silenziosa». Anche oggi c’è una maggioranza silenziosa. È in attesa che vengano ripristinate la legalità e la democrazia.

Renato DeAntoni

Caro Renato, sulla contabilità «al metro quadro» dei manifestanti di ogni ordine e categoria sono stati scritti fior di articoli, da penne più sagaci della nostra. Ad ogni modo, uscendo dalla disputa aritmetica, possiamo convenire che erano «molti»? «Moltissimi», in paragone a tante altre manifestazioni di piazza. E questo è un dato di fatto inappuntabile, che fa da base di partenza, mentre per l’altezza, o meglio, per la profondità di analisi, ci limitiamo a due considerazioni. La prima rimanda alla lettura dell’editoriale di Carlo Muzzi - pubblicato sabato - sul fenomeno del «pacifismo spontaneo», non ascrivibile a questa o quella parte, riguardando buona parte di quella maggioranza che è sì «silenziosa», ma non distratta o indifferente. La seconda è un disco rotto, che non ci annoiamo di riproporre e consta di una domanda e tre premesse: se ci dividiamo noi su una richiesta condivisibile da tutti, qual è la pace; se fatichiamo a tollerare qualche disagio collaterale persino delle manifestazioni più serene; se ci accapigliamo come i polli di Renzo per questioni tutto sommato di secondo piano... Com’è possibile sperare che facciano la pace popoli, persone, che hanno agito e subito violenza da tempo immemore? In questi giorni, mentre andiamo «tranquillamente» al lavoro o a scuola, forse è il caso di pensarci. (g. bar.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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