La disavventura della disdetta a Fastweb
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Telefonare è importante per tutti. Per le famiglie divise da migliaia di km è addirittura un servizio essenziale. Anche farlo con il miglior rapporto costi/benefici è importante. Quando poi, a causa della crisi, il ménage deve essere gestito con un solo piccolo stipendio, è addirittura un imperativo categorico. Così il nostro vicino di casa signor B, falegname ucraino ora senza lavoro e residente a Brescia con sua moglie, attualmente di professione badante, ha fatto due conti e ha deciso che l’abbonamento che aveva con Fastweb non gli conveniva più. Perciò, giusto un anno fa, il 15 gennaio 2013 inviò, con il nostro aiuto linguistico, una raccomandata AR di disdetta, giunta a destinazione il 16 gennaio (e poi dicono che le poste non funzionano...). La disdetta (visto il semi-incomprensibile italiano aziendalese e i caratteri microscopici in cui era scritta la «carta dei servizi», di per sé allarmanti) venne redatta secondo i suggerimenti dedicati alle vittime delle compagnie telefoniche da numerose associazioni di consumatori presenti in rete, con tanto di riferimento all’art 1 della legge 2 aprile 2007 n. 40, conversione del solito decreto-legge «recante misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese». In tale nota si invitava anche la società «a rendere chiara e fornire entro 15 giorni dalla ricezione della presente le modalità di restituzione del modem in uso». L’unica risposta dell’azienda fu, il 14 marzo 2013, l’emissione della solita fattura per l’abbonamento. Dopo approfondite indagini e inutili tentativi di spiegazioni telefoniche, il 20 aprile 2013, scoperto finalmente il negozio a cui riportare il modem, il signor B riesce però ad ottenere «certificazione» scritta da «Fastweb Brescia» di aver effettuato la restituzione, prova provata di non aver più usufruito di nessun servizio. Nella stessa dichiarazione «si precisa che la richiesta di disdetta è ancora in fase di completamento». Infatti: il 14 maggio 2013 perviene un’altra fattura e il 23 maggio un sollecito di pagamento a cui il signor B, fiducioso nella «fase di completamento», e convinto che, anche in Italia, non si paghi ciò che non si ha più, non dà seguito. Il 14 settembre 2013 arriva altra comunicazione con addebito per dismissione servizi di 41,14 euro ridotti a 9,83 per un misterioso «accredito per j@i dal 9 agosto al 14 settembre». Il signor B, nel frattempo rientrato in Ucraina, non la vede subito. Ritorna a Brescia pochi giorni fa e trova anche una lettera di tale Ge.Ri. Gestione Rischi, Cagliari, datata 11 dicembre 2013 e arrivata non si sa quando, che invita a pagare «entro il termine perentorio del 19-12-2013» importi scaduti per 164,73 euro (con riferimento a 3 fatture che sarebbero state emesse dall’aprile all’agosto 2013, tra l’altro con numeri non corrispondenti a quelle effettivamente ricevute) e, naturalmente, con l’immancabile ulteriore balzello di 24,12 euro per imprecisati «oneri» e la minaccia di ricorsi all’autorità giudiziaria. Riassumendo: in un anno di documentati tentativi di liberarsi di Fastweb il povero signor B ha perso un mucchio di tempo e ha rimediato solo un’ingiunzione di pagamento con minaccia di strascichi giudiziari per un servizio che non voleva e che non ha avuto. Ora dovrà perdere altro tempo per rivolgersi ad una associazione di consumatori e decidere il da farsi. È un caso isolato? Non lo so, non sono mai stata cliente di questa compagnia e questa storia non mi invoglia a diventarlo. Osservo però che sul loro sito solo cliccando sulla microscopica sezione «privacy e trasparenza», in fondo alla home page, si trovano le informazioni necessarie a disdire il contratto, ivi compreso il fatto che la disattivazione del servizio dovrebbe avvenire entro 30 giorni dalla ricezione della raccomandata. Il signor B, che non sa come finirà la sua storia e non può scrivere direttamente per questioni linguistiche, vorrebbe almeno sapere da Fastweb perché, dato che nel suo caso non lo hanno fatto, pensano che debba essere lui a pagare il conto. Mariagrazia Fasoli Brescia
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