La cittadinanza? La si revoca ai vivi non ai morti

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La cittadinanza si revoca ai vivi, non ai morti. Uno dei pilastri della civiltà occidentale è il rispetto dei morti e della morte. I cittadini salodiani o i cittadini che concessero la cittadinanza al duce negli anni successivi al 1924 avrebbero dovuto revocargliela negli anni Trenta o tra il luglio del 1943 e il settembre del 1943, in ogni caso con l’interessato in vita. La fucilazione di Dongo ha tolto al duce ogni diritto, in quanto defunto. La revoca della cittadinanza è un atto che si fa ad un vivo per motivi precisi e fissati dalla legge, non ad un morto. Fatta oggi, non solo è un atto che non ha nessun valore amministrativo, non in grado di produrre nessuna conseguenza, ma un atto politico privo di ogni consistenza. Potrebbe essere la trama di una pièce teatrale, ma pensare che una presa di posizione politica su di un fatto accaduto un secolo fa possa produrre qualche risultato oggi è demenziale. La storia va studiata e non strumentalizzata. Che i cittadini di Salò (e tutti coloro che plaudono alla revoca postuma della cittadinanza al Duce a ottant’anni dalla morte dell’interessato) approfondiscano invece il perché, in quegli anni e fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale il duce non ebbe o quasi opposizione nel paese. Approfondiscano quali furono gli elementi che portarono alla Dittatura, si interroghino su quanto di quelle forme di lotta politica che furono lo squadrismo, lo spregio degli avversari politici, la violenza verbale e fisica siano ancora presenti nella nostra società. Si studino i molti libri e documenti sull’argomento e cerchino di capire il perché del favore che il Fascismo ottenne tra gli Italiani, di cui la concessione della cittadinanza al Duce è un esempio. Ci si interroghi sul perché molti personaggi politici quali Bruno Boni, Albino De Tavonatti, Guglielmo Ghislandi, Sam Quilleri, nemmeno siano stati sfiorati da questa bizzarra idea. Il prof. Roberto Chiarini, nel suo pregevole intervento sull’argomento nel GdB di domenica, introduceva elementi molto interessanti di discussione sull’argomento e alla base del suo ragionamento sta il fatto che la storia non può essere «piegata» alle esigenze politiche della quotidianità. Niente di più vero e corretto. Il mio punto di vista è che questa vicenda riveli come ormai i partiti abbiano perso molta della capacità di elaborare proposte di medio periodo e ricorrano a scorciatoie in grado, purtroppo, di produrre solo sterili e inutili prese di posizione su fatti che appartengono ormai alla storia e che non hanno e non possono avere alcun riflesso sulla vita di tutti i giorni.

// Ludovico Guarneri
Ghedi
Gentile lettore, domani il Consiglio comunale di Salò deciderà - liberamente, e già questo segna una differenza fondamentale rispetto a quando venne attribuita - sulla revoca o meno della cittadinanza onoraria a Mussolini. La polemica in corso può avere senso ed è lecita, come ha scritto il nostro editorialista, se diventa occasione «per fare i conti con il proprio passato» e «riflettere sul passato al fine di consolidare la nostra coscienza democratica». Perciò oggi il GdB dà spazio agli interventi di due storici (alle pagine 16 e 17) che aiutano a capire come in quel fatidico 1924 le cittadinanze onorarie a Mussolini furono di fatto funzionali alla nascita della dittatura fascista e del mito del duce. (g.c.)

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