Io, padre separato finito in un vortice di accuse false

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Chi le scrive è un uomo per bene, un professionista che si impegna quotidianamente nel suo lavoro e che appartiene alla categoria dei papà separati. Verso la metà del 2020 la mia ex moglie ed io scriviamo reciprocamente le lettere di avvio della separazione; gli avvocati si scrivono, si sentono. Uno (non il mio) ventila all’altro la possibilità del ricorso all’ordine di protezione. Passano mesi, gli animi rimangono accesi, si depositano i ricorsi della separazione. In questi si evidenziano le mancanze della moglie e gli incontri esterni. Potrebbero esserci complicazioni «sociali». Scoppia l’incendio. Una sera rientrando a casa capisco la strategia. Vengono chiamate le forze dell’ordine in presenza dei figli. Uno tenta di ascoltare mio figlio, minorenne, senza la mia presenza. Mi oppongo e riesco nel tentativo. Loro capiscono che la chiamata per violenza in famiglia di fatto era un litigio. Due giorni dopo stesso episodio. Sempre davanti ai figli! Questa volta il carabiniere è meno disponibile. Parapiglia con mio accesso al Pronto soccorso per consulenza psichiatrica. Alla dimissione chiamo l’avvocato, che nel frattempo attendeva risposta da controparte per un primo incontro per eventuale conciliazione di cui non avrà mai risposta, e gli comunico di avvisare che avrei abbandonato la casa di mia proprietà! La risposta viene accettata. Ma... Mi accorgo che mettono in atto un altro tranello. Chiedono d’urgenza un ordine di protezione «inaudita altera parte»! In sostanza vengo dipinto come un delinquente che minaccia la vita della ex moglie e dei figli. Riescono ad ottenerlo; vengo accompagnato da tre carabinieri a casa mia e costretto a fare le valigie. Io vivo per alcuni giorni con lo zaino sull’uscio di casa; il maresciallo, uomo straordinario, me lo ha detto «non senta nessuno, se le sue parole venissero travisate e strumentalizzate potrebbe essere arrestato». Passano i mesi, nel frattempo l’ordine di protezione decade ed io mi godo il tempo con i miei figli. Poi mi arriva l’invito a comparire. Due ore di interrogatorio di fronte ad un PM tosto ma che non mi ha mai trattato con pregiudizio. Il reato? Maltrattamenti in famiglia, violenza privata, tutto quello che è prescritto nel codice rosso. Subisco psicologicamente anche questo affronto oltre ai vestiti nei sacchi dell’immondizia, il mio 730 «rubato» all’Agenzia delle Entrate, la tata in comune che racconta falsità! Comunque arriva la richiesta di archiviazione. Bene dico, visto anche le motivazioni addotte, adesso finalmente riposizioniamo tutto al centro. Occupiamoci del bene dei figli. No, arriva l’opposizione all’archiviazione. Io continuo ad essere pericoloso, violento, devo essere arrestato. Sono un uomo per male, ma mai mi viene contestata la mia capacità genitoriale. Cioè sono un delinquente ma un buon padre. Finalmente l’udienza dal Giudice che sentite le parti emette immediatamente, cosa rara, un’ordinanza. Archiviazione! Ho avuto la fortuna di essere una persona solida, psicologicamente, interiormente, economicamente. Ma ho patito angherie che nessuno che non vi sia passato può comprendere. Il pregiudizio misandrico per il quale uomo uguale violento viene strumentalmente utilizzato da persone senza scrupoli che non pongono mai realmente i minori al centro degli interessi. Un mondo ipocrita su cui si costruiscono carriere, pieno di atteggiamenti omertosi che rovinano le persone. Credo sia giunto il momento di portare alla luce tutte queste situazioni critiche. Sono circa 200 i padri che ogni anno si suicidano e le cronache giudiziarie sono ormai piene di vicende come la mia! Combatterò per abbattere l’ipocrisia che circonda tutte queste vicende perché chi meno solido di quanto non sia stato io possa trovare conforto; perché chi commette un reato sia perseguito. Perché se vi è violenza questa deve essere combattuta. Da ambo le parti! Perché la violenza non ha sesso! E perché i figli devono davvero essere al centro del nostro mondo!

// Lettera firmata Non conosciamo i dettagli della storia di questo padre separato accusato di violenze e «riabilitato» dalla magistratura, ma è facile comprenderne la sofferenza, la lacerazione intima, lo scorrere del tempo come cartavetro sulla carne senza pelle. È vero: la violenza non ha sesso. Ed è anche vero che, statisticamente, il sesso debole nella coppia è quello femminile contro un maschile prevaricante e violento. Ma non sempre è così e le generalizzazioni possono avere conseguenze irreparabili. Anche la giustizia non ha e non deve avere sesso. E quando la statistica si trasforma in pregiudizio è come gettare benzina sul fuoco del conflitto: ne rimarranno tutti doppiamente ustionati. A cominciare dai figli. (n.v.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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