Il vero paradosso di un calcio malato. E il Brescia paga

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Comprendo ci siano problemi più importanti del calcio anche se non sottovaluterei l’impatto sociale di questo sport sul territorio tra visibilità, valori, aggregazione, ragazzi tolti dalla strada. Proprio per questi motivi il trattamento che sta ricevendo la squadra della nostra città negli ultimi anni a livello nazionale meriterebbe ben altro trattamento che il silenzio delle istituzioni locali. Due anni fa, un immotivato sequestro di 49 milioni di euro poi restituiti, ci ha costretti a giocare un campionato senza possibilità di fare «mercato» con una sede commissariata nella quale anche l’acquisto di una biro doveva essere autorizzato. Una illogica disparità con le altre 19 squadre del campionato. Non bastasse questo, siamo retrocessi grazie anche alla squadra di Reggio Calabria che ha guadagnato posizioni in graduatoria cercando di eludere il pagamento Irpef per 15 milioni di euro; nella lungaggine delle indagini che ne hanno decretato la retrocessione in favore del Brescia, gli altri team sono andati serenamente in ferie per prepararsi al ritiro estivo mentre noi abbiamo passato i mesi estivi senza sapere in che categoria avremmo giocato, con calciatori che nel dubbio rifiutavano la destinazione sotto il Cidneo e l’incognita del tipo di squadra da allestire. Ora si ripete la storia: la Federazione con un calcistico colpo di Stato ferma il campionato senza far disputare lo spareggio play out tra Salernitana e Frosinone con l’intento di manomettere a posteriori la classifica finale facendo riemergere immotivatamente la Sampdoria, evento mai successo prima nella storia del calcio italiano. Non sappiamo attualmente in che categoria giocheranno quest’anno le rondinelle, ma comunque vada, partiamo già dispari rispetto alle altre 19, senza conoscere il futuro, senza poter fare mercato in virtù del tipo di squadra da costruire e degli emolumenti da elargire. Rischiamo addirittura di veder retrocedere una squadra con bilanci nella norma per un ritardo, favorendone un’altra che «vanta» centinaia di migliaia di milioni di euro di debito (pare circa 200 milioni). La domanda è: quando potremo giocare a calcio come tutte le altre? E davvero le istituzioni non si sentono in dovere di chiedere palesemente rispetto per l’immagine della nostra città, della nostra squadra, della nostra gente nelle sedi opportune?

Guido Franchi
Borgosatollo

Caro Guido, lungi da noi qualsiasi tentazione di vittimismo o alzata di scudi fanfarona. Il mondo del calcio è quello che è: segue le sue regole, che in Italia significa non averne affatto oppure piegarle a seconda del tirare del vento e di chi comanda. In questo monopoli milionario, giocato alla buona, finora Cellino se l’è sempre cavata, di riffa o di raffa. Questa volta invece l’impressione è che il coniglio ch’è necessario cavare dal cilindro sia d’una taglia spropositata persino per un prestigiatore della sua categoria. Premesso ciò e al netto della decisione del Tribunale Federale di ieri, a stridere e gridare vendetta è quanto indica in sei righe lei: una squadra con tutto sommato i conti in regola, il Brescia, rischia la retrocessione, mentre una indebitata fino alla collottola, la Sampdoria, ha buone prospettive di farla franca. Non occorre essere re Salomone né Bao Zheng il Giusto per comprendere che qualcosa non quadra e che associare la parola «giustizia» a «sportiva» è un azzardo, oltre che una barzelletta. (g. bar.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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