Il truffatore che mina il mio senso della solidarietà
Non ho mai scritto una lettera ad un giornale in vita mia, ma stavolta ritengo sia opportuno farlo perché altri non incorrano nella trappola che mi accingo a raccontare. Premetto che qualcuno dirà: a me non capiterà mai di cascarci. Lo pensavo anche io. Veniamo al fatto: domenica mattina stavo transitando sulla strada che da Bedizzole porta a Calvagese per andare a pranzo da un’amica. A lato della strada in una piazzola noto un signore che fa cenno di fermarmi. È pieno giorno, lui è in compagnia di una donna e due bambine. Mi fermo volentieri per capire se hanno bisogno di qualcosa. Lui, in un italiano precario, mi spiega che sta aspettando un amico polacco perché è rimasto senza benzina di un’auto che ha appena acquistato. Asserisce di essere un commerciante di autovetture e che deve tornare a Bolzano. Mi presenta anche il suo biglietto da visita. Mi fa vedere una carta di credito e mi spiega che ha terminato la disponibilità giornaliera del prelievo e che non potrà pagare la benzina in arrivo e neppure il pedaggio dell’autostrada. Mi propone anche di trattenere in pegno il suo orologio. Io rifiuto ma, vedendo moglie e bimbe sotto il sole, non ho remore ad aprire il portafogli e offrire - sì, li ho proprio offerti io - cinquanta euro. Non solo: avevo con me frutta fresca da condividere con la mia amica: ho ritenuto giusto offrirla a quella donna e alle sue bambine. Ci scambiano i numeri di telefono con la promessa che, rientrati a Bolzano, avremmo deciso le modalità di restituzione del prestito. Ricordo ancora il grazie corale e convinto - mi pareva proprio convinto - di quella signora e delle sue bambine. Le manine che mi salutavano. Non posso dire di non avere avuto qualche sospetto: l’ho però allontanato da me perché mi sono detta che è davvero brutto pensare sempre che qualcuno possa truffarti. Bisogna pur avere un po’ di fiducia. Nel tardo pomeriggio ho inviato un sms al (a questo punto presunto) commerciante di auto. Non ho avuto risposta. Non le dico gli insulti della mia amica. Insomma: dovevo dare ragione a lei o a me stessa? Tornando verso Brescia la sera, a lato della 45Bis, in prossimità di un distributore di benzina vedo fermo, vicino a un’auto con le quattro frecce intermittenti azionate, un uomo che fa lo stesso segno di quello incontrato la mattina. Ovviamente non mi fermo. Una volta a casa provo a chiamare l’ormai celebre commerciante. Inutile dire che non ho risposte. A quel punto cerco su internet e scopro di non essere sola, ma una dei tanti. Ho deciso di scrivere al giornale non per sentirmi dire che sono stata una polla. Lo so da me. Mi piacerebbe poter pensare però che altri, grazie al mio racconto, evitino di incappare in simili situazioni. Nello stesso tempo mi assale un’angoscia: per evitare simili situazioni, si deve proprio diventare indifferenti? E se avessero avuto bisogno davvero di qualcuno? Chiedo: forse non ho sbagliato a fermarmi. Ho solo sbagliato a consegnare i soldi e a non ragionare su altre modalità di aiuto?
// Lettera firmata Gentile lettrice, grazie per aver condiviso con noi e i nostri lettori la sua esperienza. Non tema: bollarla come polla significa non entrare in profondità. La questione è dannatamente seria. Se, come pare, si tratta di un modus operandi truffaldino, di polli ce ne sono tanti, altrimenti si sarebbe fermato al primo tentativo. La questione è: come praticare in sicurezza la tensione solidale che sorge spontanea? Ha ragione, la strada giusta non sta nella sua mortificazione. Altre modalità, lei chiede. Nella fattispecie, forse la più idonea è raccogliere l’sos e rilanciarlo alle forze dell’ordine. Due o tre segnalazioni di questo tipo, potrebbero stroncare il fenomeno. E nello stesso tempo garantire aiuto concreto a chi ne ha davvero bisogno. (n.v.)Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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