Il torrente Garza finisce in campagna

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Il Torrente Garza oltre ad essere un corso d’acqua interamente bresciano è anche uno dei pochissimi fiumi e/o torrenti, che non hanno una foce. Esso, infatti, nasce in Val Bertone, sopra Nave e «sfocia» spagliando le sue acque nella campagna di Ghedi al confine con Montichiari e Calvisano. Come mai non ha una foce «normale» come tutti gli altri corsi d'acqua? Perché essendo un torrente e non un fiume, le sue acque non sono mai riuscite, nei millenni passati ad avere una portata e una costanza tale da erodere e scavarsi un solco naturale che le portasse a sfociare in un corso d’acqua più grande. Per secoli, il Garza, pur non rappresentando mai un gravissimo problema, se non per qualche piccola inondazione in città, si è disperso nelle campagne a sud della città di Brescia. Fu La Serenissima Repubblica di Venezia, nel XVI° sec., a fare il primo importante intervento sul suo corso. Ne incanalò le acque a Nord della città e le utilizzò per alimentare la fossa che circondava le mura costruite a difesa della città, visibili ancora oggi, in via Spalto San Marco. Alimentata la fossa, gli ingegneri veneziani deviarono il corso del Garza, disperdendolo, nella campagna di Borgosatollo. Nei secoli successivi, furono molteplici le proposte di destinazione delle acque: chi le voleva nel Mella, chi nel Naviglio, di fatto, per una ragione o per il suo contrario, nulla fu fatto e il problema della foce mancante fu perennemente rinviato. E, quindi, toccando agli uomini determinarne il corso, questo torrente non ha mai avuto pace. A quei tempi essendo la pianura compresa tra i Comuni di Ghedi, Castenedolo, Borgosatollo e Montichiari, una brughiera completamente disabitata e incolta, nessuno si lamentò troppo di queste acque che periodicamente inondavano un territorio di scarsissimo interesse. Per un paio di secoli, questo fiume monco di foce, trovò, in quell’area, svariati kmq di terreno incolto per spargere le sue acque. Durante i primi decenni del 1900 con la progressiva bonifica della brughiera, quel corso d’acqua irregolare, iniziò ad interessare e preoccupare gli agricoltori. Ecco quindi che, nei primi anni successivi alla Seconda guerra mondiale, con regolare contratto e formalizzazione notarile, il Comune di Ghedi accetta e sottoscrive il diritto di «spagliare» le acque del Garza sul proprio territorio mettendo a disposizione circa dieci ettari per la decantazione delle acque. Il terreno ghiaioso, si pensava, funzionerà da filtro. L’intendimento degli amministratori del tempo era di alimentare, con l’acqua del Garza, la prima falda acquifera e sostenere l’irrigazione delle campagne poste a Sud dello spaglio stesso. In realtà, con l’assunzione del diritto/obbligo di spagliare le acque del Garza, il Comune di Ghedi si tira addosso una gatta da pelare che ancora oggi ha molteplici ricadute negative. L’industrializzazione vertiginosa negli anni del boom economico di Nave, Caino e Bovezzo, fu causa, fino all’entrata in vigore della legge Merli (1976), dell’immissione, nel Garza, di reflui industriali inquinanti. Questi reflui causarono il depositarsi, nella zona dello spaglio di Ghedi, di materiale e sostanze incontrollate e nocive. Le ultime analisi dell’Arpa, effettuate sul terreno in questione nel 2013, hanno evidenziato come, ancora oggi, sia alto e fuori standard, il contenuto di elementi nocivi. Tant’è che la zona è tuttora sottoposta a sequestro da parte dell’autorità giudiziaria. Parallelamente all’esercizio dello spaglio, si presentò il problema delle piene e degli allagamenti. L’aumento della portata autunnale del Garza e la progressiva impermeabilizzazione del terreno dedicato alla dispersione delle acque provocarono a partire dagli anni ’50 allagamenti sia in frazione Belvedere di Ghedi che nella parte nord del Comune di Calvisano (frazioni di Viadana e Bredazzane). Il Magistrato del Po, titolare, dal 1956 al 2003, della gestione delle acque del bacino del Po, concesse, negli anni ’70, che le acque del Garza defluissero, attraverso un canale appositamente costruito, nel Chiese. Il canale artificiale fu costruito. Sembrava, finalmente, la logica conclusione della storia di un fiume, che, come tutti i fiumi che si rispettino avrebbe avuto, dopo millenni, la sua foce. Invece no! Gli abitanti di Carpenedolo, in nome della difesa della purezza delle acque del Chiese iniziarono un’opposizione feroce all’esecuzione dell’opera che avrebbe portato il Garza a sfociare nel Chiese. L’azione di protesta ebbe successo e il prolungamento del corso del Garza fino al Chiese si interruppe a 400 metri dalla conclusione. A nulla sono valse le sentenze e disposizioni del Magistrato del Po, l’ultima paratia che consentirebbe al Garza di confluire nel Chiese non fu mai costruita. Oggi, quindi, dopo millenni dalla sua esistenza e dopo circa quarant’anni dal riassetto del bacino, deciso e approvato dal Magistrato del Po, la storia del corso del Garza, fiume senza foce, non è ancora conclusa e i pericoli di allagamento per Ghedi e Calvisano sono ancora incombenti. La pulizia effettuata nei mesi scorsi, a seguito degli smottamenti, nel tratto di Garza sito nel Comune di Nave avrà anche messo in sicurezza il torrente nel suo percorso a Nord, ma non ha interrotto la cattiva abitudine di trasferire a valle i problemi di questo corso d’acqua. Solo la costruzione dell’ultimo tratto del canale artificiale che lo collegherebbe al Chiese, metterebbe la parola fine al pericolo di inondazioni nelle campagne di Ghedi e Calvisano e darebbe al torrente, finalmente, in corso compiuto. Ludovico Guarneri Ghedi

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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