Il sonetto di Rapisardi e il prof. Goffi

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È proprio vero che basta una scintilla per attivare le sinapsi della memoria. Stavolta è stato l'articoletto del GdB di martedì 3 gennaio ove si parla del poeta catanese Mario Rapisardi. Era l'anno scolastico 1944/45 e noi eravamo sfollati a Borgonato dopo i gravi bombardamenti sulla città.
Io frequentavo le scuole medie di Rovato: una bella sgambata quotidiana di 12 chilometri in bicicletta, fra andata e ritorno lungo la provinciale Iseo-Rovato che sembra piana solo a chi la percorre comodamente in macchina, mentre è una salita sensibile fino al laghetto del Sala e poi discesa fino a Rovato, come ben sapevano le mie gambe di undicenne.
Insegnante di lettere era il prof. Lento Goffi di Chiari, destinato poi a diventare una delle voci più note del mondo poetico bresciano. Un giorno il professore ci lesse (e ci dettò, così si usava allora) un sonetto di questo poeta siciliano, Mario Rapisardi, intitolato «II Tetradramma». Vi si descriveva mirabilmente l'antica moneta d'argento del tiranno di Siracusa Dioniso, del valore di quattro dracme (onde il nome) che rappresentava su un lato la quadriga alata della Vittoria. Ho in mente ancora i versi finali, davvero scultorei: «a retro scalpita, coronata dal sol della Vittoria - la gran quadriga e il saldo argento palpita».
Sull'autore il docente non ci disse molto, se non che si trattava di un discepolo del Carducci, per cui la notizia del Giornale, tratta dal nuovo libro dedicato al poeta siciliano, secondo cui ci furono liti furiose tra allievo e maestro, mi incuriosisce, così come il riferimento a Victor Hugo, al quale peraltro Carducci venne spesso paragonato in vita (si diceva di lui: è il Victor Hugo italiano). Il prof. Goffi ci fece studiare anche una poesia di Aldo Palazzeschi, che non ricordo più, ove compariva la parola «camion»: per ragioni metriche si doveva pronunciare «camiòn» (d'altronde è una parola francese, diceva Goffi, quindi la pronuncia deve essere tronca). Inutile dire che a noi ragazzi la cosa sembrava molto strana.
Passato il turbine bellico non ebbi più occasione di incontrare il prof. Goffi che peraltro era un tipo molto schivo. Ricordo soltanto, in una delle prime pubblicazioni viti-vinicole degli anni '60 dedicate al Garda, una sua poesia dove si parlava di un vino che riposa nelle botti e che mai assaggeremo. Ho il rammarico di non essere riuscito a chiedergli il perché di quel verso, pur tenendo conto che i pensieri dei poeti sono un po' diversi da quelli dei produttori di vino: i primi, quando entrano in una cantina, possono anche favoleggiare, mentre i produttori si augurano che le loro botti si vuotino alla svelta.
Avv. Marcello Berlucchi
Brescia

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