Il santuario sul monte Guglielmo
«Addio monti sorgenti dall'acque ed elevati al cielo, cime inuguali (...)», così recita il Manzoni nel suo «I Promessi Sposi».
Nel lontano 1900 avvenne il primo strappo alla natura: si concedeva la costruzione di un manufatto per segnalare la presenza di Dio più vicina al creato. Nasceva così il monumento al Redentore sul monte Guglielmo, definito montagna simbolo dei bresciani.
Domina dai suoi 1.948 m di quota le tre valli bresciane Valtrompia, Valsabbia e Valcamonica e spazia a 360° sulla catena delle Alpi italiane.
È conosciuto in tutta la Lombardia perché rappresentativo di essere uno dei venti monumenti, costruiti uno per ogni regione d'Italia, voluti da Papa Leone XIII e dedicato a Cristo Redentore. Sono trascorsi quindi 110 lunghi anni da quando tanti volonterosi si sono prodigati alla sua edificazione trasportando in spalla il materiale edilizio necessario partendo a piedi dal fondo valle.
Al tempo l'attuale «arteria», futura autostrada per Castel Bertino, non esisteva! Il monumento a Cristo Redentore è rimasto silente per oltre un secolo arroccato nel punto più alto del monte Guglielmo. I suoi compagni erano gli appassionati di montagna, escursionisti e sciatori fuori pista che la domenica e nei giorni festivi solcavano gli scoscesi pendii e raggiungevano il cosiddetto «culmine» dopo lunga ed estenuante marcia.
Compagna prediletta restava comunque la fauna, allora numerosa, viveva tranquilla nel suo habitat naturale, oggi numerose specie di animali sono pressoché scomparse o in pericolo di estinzione grazie al disturbo arrecato dall'uomo con i suoi molteplici e ingiustificati interventi.
Dalla Valle Trompia il percorso per raggiungere il monte Guglielmo partiva dalla località di Inzino frazione di Gardone Vt, ovviamente a piedi poiché la strada che porta ai piani della località «Caregno» è nata soltanto negli anni '60; quindi costruita dopo oltre sessanta anni dall'erezione del manufatto.
La conquista della vetta era appannaggio di pochi, non esistevano sentieri tracciati che favorivano l'escalation.
Spesso e pure in caso di poca visibilità o di condizioni avverse del tempo, nebbia, neve, pioggia, le probabilità di smarrirsi erano frequenti, tanti escursionisti, negli anni, hanno avuto la disavventura di non trovare la via del ritorno.
Come si legge negli articoli apparsi sul vostro giornale in data 16 e 18 luglio 2011 rispettivamente alle pagine undici e trentuno, nel 1997, in occasione della commemorazione del centenario della nascita di Papa Paolo VI (fautore del restauro del monumento, avvenuto nel 1966), nasce un comitato promotore che osanna le «oramai consuete celebrazioni» del monumento e decide, con una serie d'iniziative, di abbellirlo ulteriormente e renderlo più visibile e riconoscibile per una maggiore frequentazione della gente. Tutte le iniziative fino ad ora promosse hanno avuto concreta realizzazione e riscontrato credito verso parte di opinione pubblica.
Non si è tenuto, però, conto della maggioranza dell'opinione pubblica, avversa a tutte le promozioni avvenute e che continuano a essere promosse con periodica e spasmodica frequenza, anche perché decise unilateralmente e solo in parte avallate da istituzioni, in primis la Chiesa.
L'eccesso di promozioni e iniziative varie di abbellimento e arricchimento del monumento è visto e sentito dalla gente come ricerca di successo e voglia di apparire da parte dei promotori, soprattutto l'ultima iniziativa in ordine di tempo e cioè la volontà conclamata del comitato, come si legge negli articoli del giornale già citati, di trasformare il monumento in tempio o santuario.
È una volontà che desta stupore e perplessità perché favorevole, se attuata, solo a perseguire mire ambiziose ed esasperate manie di protagonismo.
Dio ha sconfitto i mercanti dal tempio scacciandoli in malo modo per mancato rispetto del luogo e per frenare la sete d'interessi della quale erano pervasi.
Consumato lo strappo del 1900, sembrava scontato ottenere il tacito consenso e la licenza di perseguire verso mete che non possono trovare accoglimento tra cittadini silenti, appassionati e amanti della bellezza naturale della montagna. Neppure i credenti, veri devoti a Dio, avvertono il bisogno di raggiungerlo a 1.948 m di quota per pregarLo o rendere grazia, come avviene nei molteplici santuari sparsi per il mondo.
Il monumento, nudo e crudo, fino al 1977 ha degnamente rappresentato Cristo Redentore; era visibile e riconoscibile e significativamente frequentato. Da quella data ebbe inizio la frenetica corsa per abbellire le sue pareti esterne e interne con mosaici d'indubbia fattura artistica ma sprecati perché contrastanti con l'ambiente montano.
Pure il pennone dell'alzabandiera, ultima opera alpinistica, permanentemente fissato al suolo, deturpa il paesaggio il monte Guglielmo non fu baluardo militare né teatro di combattimenti o guerre per giustificare il ricordo con fissazioni di memorie storiche.
Probabilmente persino Dio, vero e unico soggetto del contendere, se interpellato, boccerebbe tout court le opere realizzate e quant'altro bolle in pentola.
Emerge evidente la contrarietà mia e di tanti cultori della montagna, ambientalisti, naturalisti, di vedere trasformare il monumento già eretto a Cristo Redentore in santuario.
Oltre a non comprendere i motivi veri di tanto fervore, è un'operazione non voluta, né condivisa, né sentita, né giustificata da grande massa di gente, in particolar modo se l'avvicinamento al monumento è stimolato dall'utilizzo di mezzi meccanici, come abitualmente accade in occasione di avvenimenti sportivi o mondani celebrati nell'ampia spianata esistente attorno ad esso.
Purtroppo molte località di montagna, sedi di rifugi alpini o alberghetti, un tempo località amene e incontaminate, oggi sono raggiunte anche con mezzi meccanici. Ciò rappresenta una grande offesa alla natura che esige i suoi spazi e i suoi silenzi.
Persino la vetta del monte Guglielmo è stata scempiata e oltraggiata da quando l'allargamento del sentiero che dal rifugio Almici conduce alla cima ha reso possibile il transito di mezzi motorizzati, anche se vige il divieto ai non autorizzati.
In occasione però d'incontri, radunate o manifestazioni di varia natura, molto frequenti, il divieto viene meno e si acconsente comunque il transito dei motori a una platea di mezzi sempre più vasta. L'esigenza pertanto di limitare gli abbellimenti e abbandonare l'idea di progetti ambiti è ampiamente motivata e giustificata alla luce di quanto predetto.
Meraviglia non poco il silenzio delle istituzioni ambientaliste Club alpino, Comunità montane, Provincia e Regione che assistono passivamente a deturpazioni di lembi di territorio montano che, al contrario, andrebbero tutelati in tutte le sue forme.
È sconcertante pure il loro avallo o partecipazione attiva e consenso ad avvenimenti ludici, progetti, idee o iniziative lesive dell'ambiente alpino.
Mancati o errati interventi da parte delle istituzioni preposte precludono, con deleteria conseguenza, che flora e fauna siano espropriate per dare spazio all'effimero sogno di grandezza di vedere il mondo dall'alto, magari dall'interno di uno chalet di montagna, giustificato come casa del guardiano del santuario, sacro custode degli abbellimenti e ricchezze man mano accumulate che dal 1997 in poi adornano il monumento al Redentore.
Domenico Italiano
Gardone Valtrompia
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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