Il Natale che ci portiamo dentro di noi

AA
Le chiedo cortesemente spazio nella sua splendida rubrica per poter condividere, in tempi così difficili, una riflessione personale. Un grazie di cuore e un caloroso augurio per un anno finalmente sereno, a lei e a tutti i suoi splendidi collaboratori. «Natale, ancora». Ripongo idealmente con cura le statuine del presepio, dalle mille sfaccettature, tra fogli di giornale ormai ingialliti. Dico idealmente, perché in realtà sono i familiari che fortunatamente trasformano il salotto e la cucina di casa in ambienti perfettamente natalizi. E io osservo, con un po’ di nostalgia, questo passaggio di consegne, anche se felice che queste bellissime tradizioni di famiglia conservino la loro bellezza e il loro stupore. Amo a dismisura tutte le stagioni regalateci dalla natura e dalla vita, ma nutro un particolare e profondo affetto per questa stagione di silenzi, di attese a volte, per qualcuno anche dolorose, purtroppo. Mai come quest’anno il Natale è stato sinonimo di povertà. Una povertà intrisa di amare e cocenti delusioni, di aspettative deluse, di umiliazioni subite e perverse, di false attestazioni di solidarietà, di chiusure a riccio per difendere, ciascuno, la propria nicchia. Facile allora può essere l’ipocrisia di chi «capisce», ma che poi purtroppo «non può far niente». Quante volte, durante il Natale appena trascorso, spente le voci e le luci di giornate piene e non sempre inutili, prendevo la sedia e, nel silenzio più totale della prima notte e dell’anima, sedevo vicinissimo al presepio. Solo un tenue cerchio di luci colorate guidava allora, insieme alle mille statuine, il cuore: là, presso una grotta ancora una volta vuota, nella trepida e incessante attesa di sempre. Schiere di angeli aspettavano con i pastori lo svelarsi di un mistero imminente, che sarebbe poi divenuto per sempre «Patrimonio dell’umanità». E, di fronte a quel presepio, che sentivo visceralmente anche mio, trattenendo il respiro, che dire, come tacere, chi affidare a quella culla vuota, a Maria, Sua madre e a San Giuseppe, Suo padre? A quei momenti magici della notte, e soltanto a quelli, ripenso oggi, mentre ripongo le statuine. Ad esse, ad una ad una, affido il mio, il nostro messaggio di speranza, di fede: che il prossimo Natale sia un Natale vero, speciale, condiviso, unico, grande. Riporto il presepio in un angolo buio della cantina, non quello della mia anima; un angolo che solo Mamma Francesca conosce. Osservo con malinconia il vuoto del soggiorno, dell’attesa. Poi esco in giardino, perché la malinconia stessa non mi appartiene. Tra pochissime isole di neve, rimaste intirizzite, noto già spuntare, a fatica ma con gioiosa impazienza, i primi bulbi. La loro impazienza e la loro gioia, in fondo, sono anche le mie. Passa il caro amico Mohamed, marocchino: mi saluta, lo saluto. Il mio prossimo Natale incomincia da qui. P.S. Mentre trascrivo le mie povere riflessioni vivo la tragedia di Parigi. Ma non mi arrendo: continuerò a pregare, e a sperare, e a lottare. Perché quella culla, non più vuota, ce lo chiede. Ettore Galloni Castrezzato

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