Il «mé bubà» e il ruolo cambiato dei babbi di oggi

Risale all’Ottocento la diatriba tra chi difendeva il termine babbo e chi utilizzava il termine papà. I figli dei ricchi dicevano papà, da qui forse il detto «figlio di papà», riferito a chi discende da papà che gli ha spianato la strada economicamente, mentre i figli del popolo dicevano babbo. Ancor oggi soprattutto in Toscana e in qualche zona dell’Italia centrale è molto usato babbo, con una pronuncia molto simpatica da sentire, confidenziale e affettuoso, quasi più del termine papà. Altrettanto bello il nostro corrispettivo dialettale «mé bubà», dal suono dolce, ma ormai in disuso: ormai si dice infatti mé papà, oppure mé pàder. L’etimologia di padre, da pa, antenato del latino pati (protezione e nutrizione) definisce invece più nello specifico colui che provvede alla sopravvivenza dei figli e della famiglia e ricorda le grandi famiglie di una volta, in cui spesso purtroppo c’era il padre-padrone a cui tutti erano sottomessi. Il rapporto dunque con i figli era distaccato, fatto di regole rigide, senza possibilità di replica e senza gesti o parole d’affetto. I padri ovviamente volevano bene ai figli, ma non lo esternavano per non perdere in virilità e autorità. Ormai da molti decenni il ruolo dei papà è cambiato radicalmente, arrivando ad essere talvolta troppo permissivo e perdendo quella caratteristica di autorevolezza che non dovrebbe mai mancare. Come sempre è questione di equilibrio! Un pensiero lassù a mé bubà, mancato ben 46 anni fa, papà molto severo con noi figlie, ma nonno molto affettuoso col primo nipotino e unico che ha conosciuto, seppur per poco. Un augurio a mio marito, papà dei miei figli.
// Ornella OlfiMontichiari
Prendiamo a pretesto l’omaggio che Ornella fa agli uomini della sua famiglia per guardare a casa nostra. Chiamatelo babbo, papà o bubà. Chiamatelo oggi, di persona, al telefono o con il pensiero e la preghiera. È la sua festa. Quella che ci ricorda che siamo figli suoi. Grazie. (n.v.)
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