Il mai dimenticato esempio del mio prof Prandolini
A margine delle bellissime parole già ascoltate in occasione del funerale del caro prof. Giacomo Prandolini, vorrei proporre alcuni aneddoti, senza pretesa alcuna, che mi riguardano in quanto suo ex alunno nei miei primi due anni di frequenza del Liceo Calini. Erano quelli gli anni in cui la prima urgenza che mi si presentò appena messo piede oltre il cancello di via Apollonio, era che dovevo schierarmi: destra o sinistra, fascista o comunista, borghese o proletario (o finto tale). Non c’era alternativa. E per me, che avevo ancora la testa nei trenini elettrici e nel plastico che sognavo di realizzare, era questa situazione una novità assoluta nella quale, comprensibilmente, faticavo non poco ad orientarmi. Una mattina, lo ricordo come fosse ieri, fui addirittura sorpreso dal professore a scambiare delle rotaie con il mio compagno di banco: me la cavai con una quanto mai eloquente e nello stesso tempo caritatevole occhiata di disapprovazione. Ed è giusto di carità che volevo parlare. La carità forse anche involontaria di lasciarmi intravvedere, pur in un ambiente così ostile, la sua fede; la carità di farmi capire, anche solo attraverso alcuni segnali, che la mia giovane ed ingenua fede, naturalmente ereditata in famiglia, non era poi così fuori posto se anche un insegnante del Liceo Calini osava professarla, e la gita scolastica ad Assisi, da lui proposta ed organizzata, fu sicuramente un ulteriore e per me rassicurante conferma in questa direzione. Mi trovo oggi, molto spesso, ad affermare pubblicamente le mie ragioni nel campo della fede in un modo meno discreto ed indiretto di quanto ricordo dello stile del mio professore e che, sinceramente, non so se lui approverebbe: sensibilità personali, ambiti, vissuti, caratteri, tempi ed urgenze diversi. Ciò non mi impedisce di sentirlo oggi come allora al mio fianco, anche se forse non gliel’ho mai detto o fatto capire: benedetti trenini elettrici! Ma quando sono in classe con i miei alunni, me ne rendo conto solo ora che sto chiudendo questo breve scritto, il modello è in qualche modo ancora lui: grazie, professore.
// Lettera firmataRiproduzione riservata © Giornale di Brescia
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