Il dottor Radaeli, gran interprete della professione
Le scrivo per commemorare con i lettori il dott. Enrico Radaeli che ci ha lasciato, prematuramente, il 23 di novembre 2010. Il suo nome è legato agli ultimi 50 anni di vita della Sanità ospedaliera bresciana di cui è stato un protagonista di primo piano.
Medico internista, nella migliore accezione del termine, ha lavorato per lunghi anni in 2ª Medicina Generale degli «Spedali Civili» come assistente poi aiuto con il prof. Giustina. Divenne poi Primario della Medicina dell'Ospedale di Manerbio, dove ha lasciato un ricordo indimenticabile, per poi tornare a Brescia come Primario in 3ª Medicina prendendo il testimone del prof. Marinone.
Anni in cui egli ha saputo e potuto esprimere al meglio le sue straordinarie qualità di clinico ospedaliero della grande tradizione medica italiana. Non voglio dilungarmi troppo nella biografia della tappe della sua carriera pubblica, ma certo mi corre ricordare che il suo pensionamento coincise con la chiusura della 3ª Medicina Generale. Egli continuò la sua carriera di medico operando in primarie strutture sanitarie private accreditate della nostra città sempre con funzioni di responsabilità apicale. La morte ha portato via a Brescia e ai bresciani un grande interprete della professione medica. Aveva un costante impegno ad aggiornare le proprie conoscenze scientifiche ben consapevole che la ricerca medica mondiale apporta nuove conoscenze a ritmo continuo. Anche per i collaboratori il lavoro con Radaeli significava dover cambiare l'approccio sia per gli accertamenti diagnostici che per la terapia ad ogni consolidata nuova indicazione e ciò sempre e solo nell'interesse prioritario del malato. Il medico Radaeli non era però solo un attento studioso e conoscitore del divenire delle conoscenze scientifiche. Egli aveva il dono di saperle attuare nella maniera migliore e cioè possedeva quella rara capacità di adattare le conoscenze scientifiche alle specifiche esigenze di quel singolo caso e di quel singolo malato avendo compreso ed attuato nel proprio agire professionale il principio che in medicina non ci sono malattie, ma malati.
Radaeli aveva però un'altra caratteristica che ne faceva anche un grande uomo: aveva la qualità di sapersi rapportare con i propri collaboratori, ma anche e soprattutto con i malati in maniera assolutamente speciale riuscendo sempre a mettersi con loro in piena sintonia e ciò anche con i parenti.
Egli riusciva sempre a realizzare, nei reparti da lui diretti, una medicina ad alto livello professionale e scientifico, ma comunque sempre vicina alle esigenze dei malati, rispettosa della loro persona e quindi ispirata ai migliori principi di umanità.
Resta per tutti i colleghi un esempio da imitare e si spera che la sua eredità non sia dispersa e possa essere raccolta dal maggior numero di giovani medici anche se oggi l'esercizio ottimale della professione risulta sempre più difficile.
Concludo per ricordare che negli ultimi giorni di vita il dottor Radaeli aveva saputo che il suo reparto, cioè la 3ª Divisione di Medicina Generale a gestione ospedaliera, era stata ricostituita per volontà, da molti condivisa, della Direzione degli «Spedali Civili» di Brescia. Sono certo che questa notizia l'abbia reso felice.
Cav. Dott. Francesco Falsetti
Brescia
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