Il cane, la multa e i dilemmi sulla legalità

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Sono una ragazza di 23 anni, originaria di Provaglio d'Iseo, provengo da una famiglia semplice che ha improntato la mia educazione sui valori importanti quali l'onestà, il rispetto, la tolleranza, il senso del dovere. Ho sempre cercato di agire seguendo questi principi e, nel mio piccolo, ho dimostrato serietà e senso di responsabilità. Ma dopo quello che mi è capitato, sembra che non abbia nessuna importanza il mio comportamento corretto, il mio essere a posto con la giustizia, la mia vita condotta senza provocare danni a nessuno, perché ho sbagliato e Devo Pagare. È questo, senza ombra di dubbio, un principio giusto, (che si applica per fare giustizia) e che sottoscrivo anch'io, ma a volte nell'applicarlo alla lettera senza usare nessuna discrezionalità provoca una vera e propria ingiustizia. Perché dico questo? Perché mi è capitato qualcosa che mi ha portato a trarre questa conclusione. Le racconto i fatti.

Venerdì 22 marzo, dopo una faticosa settimana di lavoro, decido di fare una passeggiata per il paese, con lo scopo di rilassarmi e togliermi di dosso stanchezza e preoccupazioni. Porto con me, per compagnia, Lulù, la mia cagnolina di piccola taglia. Mi dirigo verso la stazione ferroviaria poi scendo verso le Torbiere; non vedo nessun cartello, quindi procedo e non mi accorgo del cartello di divieto di accesso agli animali sistemato duecento metri più avanti. Quasi alla fine della mia passeggiata vengo fermata da due guardie ecologiche volontarie che mi affibbiano una multa di 172 euro per essere entrata con il mio cane nella riserva naturale delle Torbiere percorso sud zona b. Ammetto le mie responsabilità ma chiedo loro di ascoltare le mie ragioni (osservazioni, considerazioni). Spiego alle guardie che nel punto di ingresso alle Torbiere non c'è nessun cartello di divieto, e questo mi trae in inganno, facendomi credere che si tratti ancora del confine della riserva naturale, per tanto non ho prestato più avanti la dovuta attenzione; sottolineo che mi inoltravo in quella zona per la prima volta; e ribadisco che ho agito in buona fede: non volevo trasgredire la legge né prendere in giro nessuno (né fare la furba); faccio notare infine che tenevo comunque la cagnolina al guinzaglio che, per tanto, non aveva recato nessun danno all'ambiente, né alla flora né alla fauna. Concludo chiedendo alle guardie non di togliermi la multa ma di applicarmi una sanzione ridotta. Non vengo ascoltata.

Torno a casa, amareggiata, e maturo dentro di me questa riflessione: alla Legge (o meglio a chi la applica) non interessa chi sei, non interessa la tua onestà, la tua buona fede, la tua correttezza di vita; alla Legge (o meglio a chi la applica) non interessa se sei operaia che guadagna mille euro al mese e può essere un problema doverne toglierne 172; la Legge (o meglio a chi la applica) è sorda alle tue motivazioni. Ma la Legge (o meglio chi la applica), agisce veramente così con tutti? O come si suol dire è debole con i forti e forte con i deboli? Sono interrogativi che chiedono una risposta. Intanto concludo dicendo che buon senso e applicazione della Legge posso benissimo andare d'accordo.
Oldra Gavezzoli
Provaglio d'Iseo


Se le cose sono andate come lei racconta, non possiamo darle torto. Ma è il dilemma di sempre, di fronte alla norma e alle sanzioni.
Giolitti maliziosamente diceva che la legge con i nemici si applica e con gli amici si interpreta, sancendo il distillato dell'italico doppiopesismo di fronte alla giustizia, massima espressione del «poi ci aggiustiamo». La norma, invece, richiede certezza, senza se e senza ma. Uguale per tutti. E non può ammettere il «non lo sapevo, non lo avevo visto, ma è solo per una volta, ma perché la legge non chiude un occhio anche con me...» e via con tutte le giustificazioni e le scuse che vengono solitamente addotte. Una volta d'accordo su questa impostazione, che non lascia adito all'arbitrio, bisogna chiedersi qual è il fine della norma. Nel caso specifico: si vuole «fare cassa» multando il primo cagnolino che passa, oppure si vuole evitare che ognuno porti a spasso il suo cane nelle Torbiere? Se quest'ultimo è lo scopo, sarebbe bastato un «alt» e un «dietrofront», mettendo in atto quello che i latini, maestri di diritto, chiamavano il «buon senso del padre di famiglia». Ma nell'Italia dei troppi furbi il buon senso rischia di diventare dabbenaggine. E allora la guardia, che di scuse deve averne sentite tante nella sua attività, applica la legge: chi sbaglia deve pagare. Se le cose sono andate come lei racconta, non riusciamo a darle torto. Ma, sinceramente, non riusciamo a dare torto neppure alle guardie, che hanno fatto rispettare il ragionevole divieto. È il prezzo della legalità. Stavolta, forse, troppo salato.

cl. b.

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